lunedì 11 febbraio 2013

Brazil 135 : Insieme al traguardo...



La corsa non è un semplice alternarsi di passi o un’inutile moto perpetuo,è un viaggio dentro me stesso,è la ricerca d’inesplorati sapori. Solo provare a dargli voce ed il mio corpo viene inondato da un senso di benessere non facendomi accorgere,talvolta,che le rughe del mio viso vengono solcate da lacrime che non sono di tristezza ma di felicità. Giro il mondo alla ricerca di sensazioni nuove,posti da scoprire e strade da percorrere. “Non ho bisogno di una ragione,ho bisogno di una strada”,questo è il mio ultimo tatuaggio e questa è la mia vita. Non corro mai due volte la stessa gara perché l’emozione che mi da una prima volta non sarà ma uguale alle altre. E’ come un bacio al primo appuntamento,non lo scorderai mai più; gli altri per quanto bellissimi,dolci e pieni d’amore non avranno più lo stesso gusto o la stessa magia. Sono fatto così,dietro una maschera da Pulcinella si cela un cuore dove pulsa una passione. La corsa. Questa voglia è la linfa che mi fa andare avanti nella quotidianità e dritto per la mia strada. Questo turbinio di sensi e questo inseguimento di brividi ulteriori mi hanno portato in Brasile,precisamente a Sao Joao da Boa Vista,nello stato di Sao Paulo,dove ogni anno si corre un’ultramaratona che per centotrentacinque miglia cioè duecentodiciassette chilometri,percorre un lunghissimo tratto del Caminho da Fè. Questa corsa ha poi il suo traguardo nello stato del Minas Gerais e precisamente a Paraisopolis. Non è un percorso facile, la serra Mantiqueira per quanto fantastica ,stupenda e con colori che sembrano rubati ad una tela di Signac, è dura da attraversare. Terra battuta,strade sterrate e animali lungo il percorso sono i compagni di viaggio. L’assenza di ristori, se non quelli forniti dalla tua macchina d’appoggio e salite con una pendenza di oltre il venti per cento sono le difficoltà aggiunte. Essendo una gara di montagna spesse volte piove e il tragitto diventa veramente impraticabile. Pozzanghere che diventano laghi, fango che si trasforma in palude e sentiero ufficialmente segnalato ogni due chilometri con una placca smaltata,anche se frecce gialle ne facilitano l’avvicinamento,ne fanno la gara più dura alla quale ho partecipato. Più della Spartathlon e  più della Nove Colli Running. Tutto ebbe inizio nel duemiladieci quando,indossata da un gruppo di brasiliani  che doveva correre la duecentoquarantasei chilometri in terra ellenica,faceva bella mostra la maglietta celebrativa di questa fantomatica manifestazione pedestre. M’informai e riposi questo ricordo in un tiretto della mia mente,in un angolo lontano del cervello. L’anno scorso,grazie all’amico paulista Carlos, questa memoria un pò impolverata vide di nuovo la luce; le diedi una lustratina ed emerse che la Brazil 135 è l’unica corsa al mondo che se terminata in meno di quaranta ore dà la possibilità di essere ammessi direttamente alla Badwater ultramatathon (altro mio sogno). “Allora,perché non provare?”. Mi presi qualche giorno di tempo per studiare  quelle che erano le caratteristiche di questa kermesse sportiva e scoprii che, intanto è gara più tosta del Brasile,che l’ottantacinque per cento del suo andare non su asfalto,in più è un tracciato di montagna e devi arrivare al traguardo con le persone che registrerai come tuo equipaggio prima della partenza, pena la squalifica. Una gara audace ma il seme piantato due anni prima nella mia testa,ormai,stava iniziando a germogliare. Chiamai Carlos a Sao Paulo e gli dissi secco:”Ok,vengo ma devi aiutarmi ! “.Emozionatissimo il brasiliano mi rispose :” Cirinho, amico mio spartano, pensa solo ad allenarti che della logistica mi occuperò io, è un’ultramaratona dura ma ce la farai.” Da quel momento iniziò il lunghissimo lavoro di preparazione fisica e mentale per l’evento. Lunghi mesi di corse sull’argine di un fiume,immerso nella nebbia padana,talvolta inghiottito da tempeste d’acqua e neve ma io continuavo imperterrito per la mia strada. Visionavo centinaia di filmati,cercavo foto o altri particolari che potessero meglio farmi capire a cosa andassi incontro. Lunghe telefonate con Paolo Bucci che era stato ai nastri di partenza nell’edizione precedente mi caricavano e mi davano ancora più forza. Ricordo che una sera mi disse:” Ciro,questa è già una competizione aspra di suo ma se dovesse piovere,è merda”. L’eco di quelle parole ha sempre rimbombato nella mia testa. Nevicava o pioveva ed io m’allenavo ancora più duramente su quella sponda di rio. Molti sguardi increduli mi seguivano,molte domande della gente accompagnavano le mie uscite e quanta ilarità nei miei confronti ho dovuto sopportare. Io li guardavo,sorridevo e non dicevo niente. La risposta era dentro di me... “Arriverò a Paraisopolis, al traguardo di questa prova io ci sarò! “Continuando così per mesi è arrivato anche il giorno della partenza. Una vigilia un pò tormentata con febbre e vomito che non deponeva certo a mio favore. Le condizioni meteo la settimana prima della mia partenza dall’Italia erano state pessime: La zona tra Sao Paulo e il Minas Gerais era stata colpita da molte piogge. Non era un quadro idilliaco,assolutamente. Armato della incrollabile fiducia in me stesso,dal vedere sempre positività anche quando tutto sembra volgermi contro e dalle previsioni del tempo che almeno nel giorno dello start davano il sole,prendo il treno con ottimismo,direzione Roma Termini. Arrivo in seguito all’aeroporto di Fiumicino accompagnato dal mio amico Mirko e ad attendermi c’è quel gran signore di Mauro Firmani che mi terrà compagnia fino all’imbarco. Volo per Francoforte e poi altro decollo stavolta per Sao Paulo-Guarulhos dove atterrerò all’indomani mattina. Sono emozionatissimo perché quando torno nel grande paese sud americano è  come se riapprodassi a casa,tra la mia gente. E’ un legame forte,un cordone ombelicare che mai è stato rescisso da quando ho lasciato il Brasile anni orsono. Procedure di sbarco e immigrazione velocissime poi l’incontro con Carlos che non vedevo da due anni. Subito andiamo a noleggiare l’auto che ci servirà per gli spostamenti e per la gara. Qui fa la sua comparsa Silvia che già ha fatto l’intero percorso del Caminho da Fè  e ne conosce bene le particolarità. Sbrigata anche questa formalità si parte in direzione Sao Joao da Boa Vista. Dopo numerosissimi caselli autostradali,un ottimo pranzo in un ristorante dove si mangiava cucina mineira,tante chiacchiere e quasi quattro ore di viaggio,giungiamo a destinazione. Un paesino ordinato,così appare ai miei occhi questo angolo di Brasile a me sconosciuto. Incontriamo subito l’organizzatore,il comandante Mario Lacerda, che ci accoglie nel migliore dei modi,sorridendo. Mettiamo a punto qualche dettaglio e poi andiamo in albergo,dove stanchissimo vado a letto subito. Dormo benissimo ma nella notte vengo svegliato dal rumore degli scrosci che vengono giù dal cielo. Intanto le parole di Paolo :” ...se piove è merda...” venivano a galla. Ormai è l’alba e non piove più da qualche ora. Facciamo una ricca colazione e ci rechiamo in un club dove ci sarà il ritiro dei pettorali. Moltissime persone presenti: accompagnatori,atleti,staff. Si,perché la manifestazione ha diverse competizioni al suo interno : quarantotto ore,sessanta,in coppia,tris o quadruplo. Molti gl’indigeni ma anche tanti provenienti dagli Stati Uniti d’America, Polonia,Italia,Singapore,India ecc. Un bel mosaico multietnico all’insegna della corsa. Mi accorgo in modo sorprendente della mia enorme popolarità lontano dal Bel Paese. Aver corso e concluso la Spartathlon,gara nella quale solo quattro brasiliani hanno visto la fine, mi eleva sorprendentemente. Ritiro il pettorale ma quest’anno c’è la novità rappresentata dal chip che verrà consegnato all’atleta e alla sua macchina d’appoggio in modo da controllare in tempo reale le posizioni, le velocità ed eventualmente il verificarsi d’imbrogli. Si vocifera,infatti,che negli anni precedenti ci siano stati dei furbi...Ogni mondo è paese. Molto importante il briefing tenuto dagli Organizzatori,ci parlano dei problemi che possiamo incontrare,del percorso e della sua segnaletica. Dopo le foto rituali di gruppo ed un buon pranzo offertoci gentilmente,siamo liberi d’andare e di pensare ad altro per liberare un pò la mente. Stiamo in giro e nel pomeriggio facciamo un summit per mettere a punto la strategia. E’ in quel momento che capisco quanto sia importante il lavoro di squadra,il non commettere errori e disciplinare tutto perfettamente. La linea di confine tra il successo e la sconfitta è molto sottile e corre lungo una via che si chiama pianificazione. Il mio “equipaggio” aveva lavorato benissimo quando io in Italia pensavo solo ad allenarmi : stampe con altimetrie dei singoli tratti,foto di particolari punti del percorso e tanto altro. Tutto mi faceva intuire come e quanto fosse importante anche per loro arrivare al traguardo e questo mi responsabilizzava ancor di più. Vedere i loro occhi carichi d’entusiasmo,il loro prendersi cura di me, mi spingerà a dare il centouno per cento e a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Credevano in me ed io mi fidavo di queste persone, si era creata la giusta chimica. Il destino però ci doveva ancora regalare una grande sorpresa. Stavamo passeggiando,una cosa banale che magari avrei potuto non scrivere ma durante questa camminata incontreremo quello che sarà poi l’ingranaggio che farà girare alla perfezione l’intero meccanismo. Lui è Ariovaldo Branco,notissimo ultramaratoneta di Santos che ha nel suo curriculum  :  una Spartathlon, due Badwater e ben cinque Brazil 135. E’ alla ricerca di un albergo perché è li per aiutare un’americana. Avendo un posto letto libero lo invitiamo nel nostro alloggio. Entro subito in sintonia con lui. Ride,scherza e conosce tutti; percepisco subito che è una persona dal grande cuore e questo per me fa la differenza. Andiamo a cena,un rodizio di pizza dai sapori in Italia sconosciuti. Abbiamo modo di parlare tanto e accenno della mia paura a correre da solo nelle tenebre tra quelle montagne. “Tranquillo Cirinho, di notte al buio farò,se mi è possibile la sponda tra te e la statunitense. Stai solo sereno,la nottata passerà sempre e dopo ci sarà sempre la luce”. Dopo quelle parole rilassanti torno in albergo a riposare. Il crepuscolo del giorno è già avviato e il sonno ha la durata di un battito d’ali di farfalla. La campana della chiesa con i suoi sei rintocchi ci fa capire che è giunta l’ora di svegliarsi e di far colazione. Ore otto e trenta,siamo in piazza Cel. Joaquim Josè per la partenza. Appello per tutti i partecipanti,la banda musicale a rallegrare ancor di più l’ambiente, tante foto e sorrisi stemperano un poco la tensione. Vengo avvicinato da un atleta che riconosco subito,è Henrique Jacob,mi chiede di fare una foto con lui ed io gli racconto delle ore passate a vedere i suoi video della corsa su youtube, scoppiamo a ridere poi diventa serio e mi dice :”Cirinho,questa prova la superi solo se hai fiducia in te stesso”. Ore nove in punto,si fa sul serio. Il comandante Lacerda dà il via all’edizione del 2013  della Brazil 135. Si esce da Sao Joao da Boa Vista e la strada è già nervosa,trascorsi cinque,sei chilometri d’asfalto incontro la mia macchina d’appoggio e ci diamo appuntanento dopo quindici chilometri ad Aguas da Prata. Ci fanno svoltare su una strada sterrata e qui inizia il calvario. Fresco e tranquillo passo le prime due asperità con calma,l’andatura è lenta e va bene così. Il percorso è già molto duro ed è importante mantenere delle riserve d’energia. Il mio fisico viene messo a dura prova ma i miei occhi vengono rapiti da scorci che sono meravigliosi. Si ritorna sull’asfalto perché si entra ad Aguas da Prata. Mi fermo,riempio la mia fedele borraccia e riparto impassibile. Altra salita e altro rallentamento. Mi raggiunge Carlos, con lui che m’imposta i vari ritmi di corsa raggiungo la base del Pico do Gaviao. Precisa come un orologio svizzero c’è Silvia,mi porge un panino che mangerò nell’ascesa della cima più alta di tutta la corsa,intorno ai millesettecento metri. Cammino perché c’è una pendenza ripidissima ma quando arrivo in alto vengo ripagato da una visione paradisiaca,una vallata immensa dove il mio sguardo si perde fino quasi a non scorgere l’orizzonte. Questo mio primo traguardo mi riempie di gioia. Me la sognavo di notte questa erta, persone che stancamente andavano su al passo e adesso ero lì e quasi non ci credevo ma era tutto vero. Inizio a scendere,corro ma è una corsa frenata perché rischierei di non poter più rallentare e di farmi male. Fa caldo,molto caldo. Il sole è allo zenit e nei tratti dove batte direttamente a terra,dopo la pioggia dei giorni precedenti, rende il terreno molto duro e sconnesso. Molta attenzione devo prestare affinchè il mio incedere possa avvenire in sicurezza. Ritrovo la macchina alla base del monte, prendo un pò di frutta,rabbocco la borraccia e riparto. Il caldo lo allevio col ghiaccio che Silvia e Carlos comprano nei vari centri che attraversano in auto. Arrivo ad Andradas che è pomeriggio inoltrato. Continuo a prendere il mio gel ogni ora e mi sembra tutto ok. Ad un  certo punto un problema ad una lente a contatto mi fa fermare,non riesco a tenere gli occhi aperti. Mi calmo un momento,risolvo l’inconveniente  e dopo una ventina di minuti sono lì ancora a correre. Intanto dai fori praticati alla busta del ghiaccio che ho messo sotto il cappellino escono delle gocce d’acqua fredda che il mio corpo sembra gradire molto. Mi attendono altri lunghi chilometri prima di arrivare ad un altro punto micidiale: Sierra dos Limas. Per strada incontro altre macchine che aspettano altri atleti e spesse volte incrocio il maestro Heroi Fung anche lui di supporto ad un altro runner. Stravede per me questo saggio orientale già allenatore di tantissimi ultramaratoneti brasiliani. Mi dà tanti consigli e mi offre talvolta anche il suo aiuto. Si corre abbastanza all’ombra,la cosa è piacevole però a terra è un pantano. Fango che il sole non è riuscito ad asciugare,pietre e scarpe che diventano pesantissime mi fanno esclamare:” Mamma  mia, chi me l’ha fatto fare !!! ”, poi sorridendo come sempre andavo avanti. Con l’astro lucente in fase calante e l’approssimarsi della sera continuavo il mio percorso. Ad un certo punto, quando il buio ha rapito la scena alla luce, vedo da lontano la mia macchina d’appoggio. Mi fermo dieci minuti,mi stendo a terra su un tappetino e mi rilasso un pò. Quando sto per riandare compare Ariovaldo, dice che l’americana ha avuto un problema e si è ritirata. Da quel momento sarà a mia completa disposizione. Riprendo in compagnia del brasiliano e sono molto più baldanzoso. Moltissimi animali lungo il tragitto: vacche,cavalli,cani,uccelli di tutte le specie ci guardano e non sembrano minimamente infastiditi dal nostro passaggio. Parla tanto il santista, è esperto sa che la notte gioca brutti scherzi e la salita da fare è tremenda. Mi vuole lucido e vi riesce perfettamente. Tra qualche difficoltà scolliniamo. Altro rifornimento, altra vetta e si scende verso Barra. Un pò stanco ed il refrain si ripete fino a Crisolia. Qui i miei due pacers si danno il cambio,non vogliono lasciarmi solo sapendo della mia fobia a correre in solitaria tra quelle montagne. Carlos entra in scena e l’andatura cala di molto ma questo non è un problema. Ormai già da tanto tempo la mia equipe mi chiedeva quando e se avessi intenzione di riposare un pò. La mia risposta era sempre la stessa:” Arriviamo a Inconfidentes perché mi avete assicurato che da lì in poi la strada spianerà e poi m’addormenterò una mezz’ora in macchina”. Giunti in un’altra località la solerte Silvia mi passa un altro panino e della coca cola,fatico a mandarli giù. Un leggero di nervosismo vedo che serpeggia tra i miei accompagnatori,li capisco,sono stanchi anche loro. Non è facile per me ma anche loro non vivono momenti di felicità. L’auto a volte rischia di rimanere impantanata nel di fango rosso e se ciò accadesse sarebbe la fine della gara anche per me. Riporto la serenità,siamo una squadra e bisogna andare in una sola e unica direzione. Riprendo sempre con Carlos. La notte della Serra Mantiqueira è fantastica,mi circonda di buio ma m’illumina dall’alto di un cielo stellato che mai prima di quel momento avevo ammirato. I lunghi silenzi trafitti solo dai versi degli animali e una sensazione di pace mettevano la museruola alla mia enorme fatica. Arriviamo a Ouro Fino e qui incappiamo in un piccolo inconveniente. Pur seguendo le indicazioni il paulista non è convinto che siamo  sulla retta via. “Carlos, la freccia indica quella direzione,andiamo”, “Non sono sicuro,chiediamo a qualcuno”,la risposta del brasiliano. Un ragazzino ci fa tornare indietro, perdiamo un pò di tempo,richiediamo ad un altro che ci fa riprendere la direzione che avevamo in origine. Altri quattro chilometri e anche Inconfidentes è raggiunta. Sono le due e un quarto e decido di riposare qualche minuto. Alle tre ricomincio a correre ma questa volta con Ary che ,tranne per qualche chilometro, non mi lascerà più fino al traguardo. Convinto ormai che la parte più dura del cammino sia passata,affronto il resto con più ottimismo.  Ho qualche conato di vomito e così cambiamo il sistema d’idratazione passando al succo di goiaba e all’acqua di cocco. Saranno le mie bevande fino alla fine. Andando avanti però m’accorgevo che m’avevano mentito,la strada saliva eccome se saliva,era durissima. Ormai i primi raggi solari fanno capolino dal buio, la gente ancora un pò assonnata è in strada, siamo arrivati in un altro paese. Ary si ferma in un forno e compra del cibo a base di patate. Continuo per un piccolo tratto da solo,raggiungo l’auto mi svesto degli indumenti notturni e di nuovo via. Vengo appaiato ancora dal santista,mi dice: “Cirinho,dammi la tua borraccia e il marsupio,l’asino lo faccio io,tu pensa solo a correre leggero.”. Il sole rapidamente raggiunge il suo apice. Lungo la strada non si riesce più a comprare il ghiaccio. Diventa critico proseguire, i raggi solari mi perforano, sono dei martelli pneumatici sull’epidermide, le gambe sono affaticate dal continuo alternarsi di salite ripide e di discese, tra terra battuta dura e fango,sterrato e asfalto. “...Tranquillo,da Inconfidentes in poi...” , erano le parole dei miei pacers che ricordavo. “ Finiranno,queste salite”, mi ripetevo,ma più che ripetermelo era una speranza; più di una speranza era un sogno perché sapevo bene che il percorso avrebbe presentato ancora delle belle sorprese. Altra cima di una durezza orribile : Tocos do Mogì. Non vedevo mai la sommità però anche qui la natura aveva disegnato il bello dando il meglio di se stessa. Guardando verso la linea di confine tra il cielo e la terra,una strada rossa pennellata tra le molteplici tonalità di verde con tanti animali incastonati al suo interno. Il paradiso. Veniamo giù ma abbiamo finito l’acqua. Da lontano una jeep,è Fernando Noguera altro organizzatore di gare in Brasile, conosce Ariovaldo, ci fermiamo. Ci fornisce del prezioso liquido ed in più ci dà anche del succo di goiaba e acqua di cocco. Ringraziamo e andiamo... Passiamo un atleta anche lui molto provato,gli chiediamo se ha bisogno di qualcosa ma ci fa un cenno che è tutto ok. Più avasnti ritroviamo la nostra auto. Altra sosta. Il prossimo obiettivo adesso è arrivare ad Estiva. Superiamo ancora un altro atleta,una bellissima cubana con la quale scambiamo volentieri quattro chiacchiere. Ora però anche le discese sono divenute più dure quasi quanto le salite,però con la forza di volontà procediamo. Giungiamo anche ad Estiva, mi faccio curare due vesciche che si erano formate, la parte lesa brucia molto ma stringo i denti. Tra tanta sofferenza una cosa ricordo volentieri ed è l’allegria con la quale io e Ary correvamo. Cantavamo e ci divertivamo,non abbiamo mai smesso di essere positivi anche quando eravamo rimasti senz’acqua oppure quando la strada ci faceva dannare. Eravamo li, stavamo facendo quello che ci piaceva e poco importavano i tormenti e i patimenti ai quali sottoponevamo i nostri fisici. La vita è il sorriso,il sorriso che hai sul tuo viso. Ormai da Estiva manca solo una maratona al traguardo. “...cavolo solo una maratona all’arrivo,cosa sarà mai ? “Ancora tantissimo tempo per concludere la prova in quarantotto ore ma il mio obiettivo sono le quaranta. C’è tempo,c’è tempo. Qui il mio pacer mi dice :”Cirinho, la prova è  tua, vai da solo adesso e vai con Dio.” La temperatura era alta,troppo. Ghiaccio non ce ne, Silvia mi guarda negli occhi con dolcezza ma nel suo sguardo leggo una determinazione quasi da far paura, un brivido gelido mi corre lungo la schiena. “Cirinho, andiamoci a prendere queste medaglie”. Riparto da solo,sbando un pò. Nella mia testa solo calcoli matematici, mi estraneo da tutto quello che è l’ambiente esterno. Riconosco i sintomi,rivedo i fantasmi del lago Balaton (gara dove ebbi un’insolazione). Cerco la calma, la pace nei miei pensieri e ripenso: “Mamma mia, Mamma mia, chi me l’ha fatto fare ?”. Avanzo, c’è ancora la mia auto ma stavolta trovo il ghiaccio. Trovo refrigerio in quei cubetti d’acqua solida. Sto per riandare e Ary mi dice che farà con me altri venti chilometri. Rinvigorito dalle parole del mio scudiero mi rimetto in moto. Non è facile e dopo qualche chilometro vediamo anche la nostra macchina ferma che non riesce a superare uno strato fangoso. A fatica oltrepassiamo anche questo. La temperatura è altissima. Il mio amico è stanco ma lo sprono a continuare. C’è una pozza d’acqua, bagniamo i cappellini e avanziamo. Raggiungiamo ancora Silvia e Carlos,prendono degli asciugamani ghiacciati e li appoggiano sulle nostre spalle. Alcuni  minuti così e poi via. Qualche migliaio di metri più soft e poi ancora salita, sembrano non finire mai, pare di stare in un girone dantesco. Una jeep ci viene incontro da lontano,è il comandante Lacerda. Scatta qualche foto e ci dice la nostra posizione :decimi. Valichiamo,vediamo nuvole nere in lontananza. Dopo un pò comincia a piovere, “...se piove è merda...”,le parole di Bucci tornano d’attualità. Cittadina di Consolaçao, i miei stoici aiutanti mi aspettano all’intemperie. Prendo il k-way, la luce per il buio anche se è pomeriggio (avrò ragione a farlo) e la bandiera dell’Inter.. Mancano venti chilometri. Questa sarà la nostra ultima sosta,mi dicono che mi aspetteranno a trecento metri dal traguardo non prima,però,d’avermi accompagnato ad un bivio dove avrei potuto,data la stanchezza,sbagliare rotta. Da lì in avanti sarebbe iniziato l’ultimo tratto, pianeggiante secondo loro fino a Paraisopolis. La pioggia diventa battente,corriamo sull’asfalto arrivando al famoso crocevia, ci salutiamo ed inizio l’ultimo pezzo da solo. Effettivamente salite non ce ne sono,c’è d’aggirare una “pietra” così la chiamano loro,in realta è una montagna. La presenza di tante vacche sul percorso mi ostruisce il passaggio,mi fermo,ho paura. Provo a chiamare qualcuno nella casa li vicino ma nessuno mi risponde. Il piovasco che viene giù con violenza inaudita,il freddo, la stanchezza e lo scoramento tendono a prendere il sopravvento. Mi armo di coraggio e pian piano passo attraverso la mandria che beatamente pascola. Pericolo scampato? Macchè, cinquecento metri e la scena si ripete. Sempre con cautela e timore mi muovo tra i quadrupedi che mi lanciano strane occhiate. Procedo seguendo sempre le frecce gialle ma ad un certo punto m’indicano la direzione verso un cancello di legno chiuso. Scavalcarlo non è facile in condizioni normali,figuriamoci dopo trentaquattro ore e mezza di corsa, la possibilità che possano verificarsi dei crampi è alta,chi m’aiuterebbe in caso di bisogno? .Mi rilasso e oltrepasso l’ostacolo. Ormai è tempesta ma almeno la strada anche se in leggerissima salita  presenta poche delle difficoltà che ne avevano caratterizzato molti tratti precedenti. Sembrano non finire mai questi chilometri che mi separano dal traguardo. Continuo ad andare ma ecco la sorpresa,un mostro davanti a me. Una salita allucinante è lì, “...e questa da dove esce fuori ? “ mi dico scherzando con me stesso. Inizio a camminare ma non è facile; le scarpe sono infangate e pesano come due macigni. Arrivo su sperando di vedere a valle il paese. Niente di più falso,ancora una salita e la scena si ripete. Anche in discesa ci sono delle difficoltà,si scivola ed è anche sopraggiunto il buio. Vado avanti con accortezza. Un tratto d’asfalto davanti a me,generalmente sta ad indicare l’ingresso in paese. Ringalluzzito da ciò,avanzo con baldanza. Ci sono due figure in lontananza,”Chi saranno mai? Le avvicino,è un atleta brasiliano col suo aiutante,barcolla e con un filo di voce mi dice:” Vai, è finita,sei arrivato”. Penso che ormai manchi al massimo un chilometro. Niente di più ingannevole. Le indicazioni mi riportano sullo sterrato, un pò di delusione mi avvolge ma non può mancare tanto mi ripeto,” non può! “. Vedo una pietra nera a cinquanta metri da me ma sono esausto,solo in mezzo alle montagne,al freddo e nel pieno di una bufera e la scambio per un cane. Ho paura dei randagi,mi fermo. Il masso non si muove, mi guarda e penso: “Sarà abituato a veder passare delle persone,sarà tranquillo,forse”. M’approssimo a lui lentamente e quando gli sono a cinque metri m’accorgo d’aver avuto un’allucinazione. Continuo il mio calvario,altra rampa da salire,vado su,mi volto spesso per vedere se ci fosse qualcuno al mio inseguimento,cerco di correre coperto cercando di nascondermi alla vista di chi mi segue in modo da non essere preso nel mirino. All’improvviso un fascio di luce, una voce. E’ una macchina dell’organizzazione,mi passa e di nuovo il buio totale,un tratto d’asfalto e sento dentro di me che è quello finale. All’improvviso come musica per le mie orecchie sento:” Cirinhoooooooo sei tuuuuuuuuu? “. “Siiiiiiiiiii”,rispondo. Sono alle porte di Paraisopolis, Ariovaldo mi accoglie con un abbraccio e urla il mio numero di pettorale ai giudici che lo comunicheranno via radio al traguardo. Discesa durissima,quasi a strapiombo ma ormai è finita. “Eravamo preoccupati, non ti vedevamo arrivare”, queste le parole del santista. Gli parlo degli animali che ostruivano il percorso, del cancello da scavalcare, dell’allucinazione e di tanto ancora. Ormai era tutto passato gli chiedo di Carlos e di Silvia,mi risponde che mi stanno aspettando, piangendo, a trecento metri dal traguardo. Iniziamo a cantare io e il brasiliano, le stesse canzoni che avevano fatto da colonna sonora ai tantissimi chilometri corsi insieme riecheggiano . Eccoli gli altri due amici :”Carlooooooooos,Silviaaaaaaaaaaaaa”, con gli occhi ancora gonfi di lacrime mi vengono incontro e mi stringono in un’abbraccio. La chiesa di Paraisopolis,il traguardo. I miei pacers vogliono che io sia un passo avanti a loro. Non accetto. “Dovete arrivare insieme a me,siamo una squadra e voi siete stati fondamentali”. Segnati dalla fatica ma felici e urlanti tagliamo il traguardo. Sono le venti e  quarantuno e dopo trentasei ore e quarantuno minuti mettiamo fine al nostro sforzo.Veniamo premiati,fotografati e intervistati. Li abbraccio forte uno ad uno ancora una volta,loro ricambiano la stretta con la stessa intensità. Sempre sorridente vengo coccolato da  tutti, firmo autografi ed anche il figlio del Sindaco, un ragazzino simpatico, chiede alla mamma se può farsi immortalare con me. E’ uno spettacolo di linguacce e quan’altro per stemperare la tensione. Torno in albergo,doccia e messaggio in Italia per avvisare del mio arrivo. Vado a letto ma verso le due mi sveglio, accendo il tablet e scopro che il giornale della mia città nella sua versione on line, ha già dato la notizia con tanto di foto e super articolo. Sulla mia pagina facebook noto con piacere che mio fratello Enzo ed il mio amico Andrea avevano dato gli aggiornamenti di tutti i miei passaggi e tanti amici m’avevano seguito  facendo il tifo per me. Un successo. Torno a chiudere gli occhi, al mattino seguente scendo in piazza a vedere gli altri arrivi e con orgoglio mostro a tutti la mia maglietta di finisher. Mi avvicina un americano e mi dice :” Cirinho,questa è più dura della Badwater ultramarathon, io le ho corse entrambe.” Carlos e Silvia devono partire subito perché hanno degli impegni lavorativi, io insisto per farli rimanere ma loro restano della loro decisione. Scoprirò più tardi che per seguirmi in questa mia avventura avevano preso dei permessi non retribuiti a lavoro. Torno in albergo,c’è Carlos che sta preparando le sue cose. “Tieni guerriero,questa è per te”,gli regalo una delle due magliette bianche da finisher che sono diverse da quelle degli accompagnatori. Non vuole,non accetta. “Cirinho è tua,è la tua ! “Gli spiego che se abbiamo vissuto quell’avventura è stato perché lui ha organizzato tutto e mi ha fatto rimanere sempre sereno. Si convince, si siede sul letto con il trofeo tra le manie se lo pone sul viso. Resta immobile per qualche minuto,in silenzio e assorto. Capisco la sua emozione che poi è anche la mia. Si alza singhiozzando e mi stringe. “ Mi hai dato una delle più belle soddisfazioni della mia vita,sarai sempre il benvenuto in Brasile.” Scendiamo in strada trovo anche Silvia che sta caricando l’auto e anche lei confusa mi saluta. Ultimo pranzo insieme e poi ripartono. Resto nella città del Minas Gerais con Ariovaldo, guardiamo gli altri arrivi e poi la sera andiamo in un locale dove ci verrà offerta una pizza e ci saranno i saluti finali. Il giorno dopo partenza per Sao Joao da Boa Vista con Ary , Jarom e Tania . Si prosegue ancora per Praia Grande quando arriveremo nel tardo pomeriggio. Vengo accolto dalla famiglia del mio amico come se mi conoscesse da anni. Mi mettono a disposizione tutto. “Questa è casa tua”. La sera un bel churrasco,la mattina dopo in spiaggia e poi nel tardo pomeriggio mi accompagnano al pullman per andare all’aeroporto.
 Ore diciannove e trentacinque, l’altoparlante chiama il volo Lufthansa per Francoforte... Cala il sipario sulla partecipazione di Cirinho alla Brazil 135.
Devo essere onesto,senza la squadra che mi ha supportato,difficilmente sarei arrivato al traguardo. Hanno fatto un lavoro encomiabile. Grazie.
Ariovaldo, grande ultramaratoneta brasiliano, si è messo al mio servizio umilmente e  mi ha accolto a casa sua come un fratello. Grazie
Jarom,una persona fantastica e collaboratore del comandante Lacerda.Sempre molto presente. Grazie
Enzo e Andrea che hanno aggiornato la mia pagina facebook in tempo reale. Grazie
Brazil 135, facendomi fare un tratto del Caminho da Fè, immerso nello scenario della sierra Mantiqueira mi hai fatto capire ancora di più il valore dell’amicizia e il significato del lottare uniti per una causa comune. Grazie
A tutti gli amici che mi hanno seguito con simpatia e che hanno inondato il mio profilo fb di bei messaggi. Grazie.
A chi ha avuto la pazienza di leggere ed arrivare fino alla fine. Grazie