La corsa non è un semplice alternarsi di passi o un’inutile
moto perpetuo,è un viaggio dentro me stesso,è la ricerca d’inesplorati sapori.
Solo provare a dargli voce ed il mio corpo viene inondato da un senso di
benessere non facendomi accorgere,talvolta,che le rughe del mio viso vengono
solcate da lacrime che non sono di tristezza ma di felicità. Giro il mondo alla
ricerca di sensazioni nuove,posti da scoprire e strade da percorrere. “Non ho
bisogno di una ragione,ho bisogno di una strada”,questo è il mio ultimo
tatuaggio e questa è la mia vita. Non corro mai due volte la stessa gara perché
l’emozione che mi da una prima volta non sarà ma uguale alle altre. E’ come un
bacio al primo appuntamento,non lo scorderai mai più; gli altri per quanto
bellissimi,dolci e pieni d’amore non avranno più lo stesso gusto o la stessa
magia. Sono fatto così,dietro una maschera da Pulcinella si cela un cuore dove
pulsa una passione. La corsa. Questa voglia è la linfa che mi fa andare avanti
nella quotidianità e dritto per la mia strada. Questo turbinio di sensi e
questo inseguimento di brividi ulteriori mi hanno portato in
Brasile,precisamente a Sao Joao da Boa Vista,nello stato di Sao Paulo,dove ogni
anno si corre un’ultramaratona che per centotrentacinque miglia cioè duecentodiciassette
chilometri,percorre un lunghissimo tratto del Caminho da Fè. Questa corsa ha
poi il suo traguardo nello stato del Minas Gerais e precisamente a
Paraisopolis. Non è un percorso facile, la serra Mantiqueira per quanto
fantastica ,stupenda e con colori che sembrano rubati ad una tela di Signac, è
dura da attraversare. Terra battuta,strade sterrate e animali lungo il percorso
sono i compagni di viaggio. L’assenza di ristori, se non quelli forniti dalla
tua macchina d’appoggio e salite con una pendenza di oltre il venti per cento
sono le difficoltà aggiunte. Essendo una gara di montagna spesse volte piove e il tragitto diventa veramente impraticabile. Pozzanghere che diventano laghi, fango che si trasforma
in palude e sentiero ufficialmente segnalato ogni due chilometri con una placca
smaltata,anche se frecce gialle ne facilitano l’avvicinamento,ne fanno la gara
più dura alla quale ho partecipato. Più della Spartathlon e più della Nove Colli Running. Tutto ebbe
inizio nel duemiladieci quando,indossata da un gruppo di brasiliani che doveva
correre la duecentoquarantasei chilometri in terra ellenica,faceva bella mostra
la maglietta celebrativa di questa fantomatica manifestazione pedestre.
M’informai e riposi questo ricordo in un tiretto della mia mente,in un angolo
lontano del cervello. L’anno scorso,grazie all’amico paulista Carlos, questa
memoria un pò impolverata vide di nuovo la luce; le diedi una lustratina ed
emerse che la Brazil 135 è l’unica corsa al mondo che se terminata in meno di
quaranta ore dà la possibilità di essere ammessi direttamente alla Badwater
ultramatathon (altro mio sogno). “Allora,perché non provare?”. Mi presi qualche
giorno di tempo per studiare quelle che erano le caratteristiche di
questa kermesse sportiva e scoprii che, intanto è gara più tosta del Brasile,che
l’ottantacinque per cento del suo andare non su asfalto,in più è un tracciato di
montagna e devi arrivare al traguardo con le persone che registrerai come tuo
equipaggio prima della partenza, pena la squalifica. Una gara audace ma il seme
piantato due anni prima nella mia testa,ormai,stava iniziando a germogliare.
Chiamai Carlos a Sao Paulo e gli dissi secco:”Ok,vengo ma devi aiutarmi ! “.Emozionatissimo il brasiliano mi rispose :” Cirinho, amico mio spartano, pensa
solo ad allenarti che della logistica mi occuperò io, è un’ultramaratona dura
ma ce la farai.” Da quel momento iniziò il lunghissimo lavoro di preparazione
fisica e mentale per l’evento. Lunghi mesi di corse sull’argine di un
fiume,immerso nella nebbia padana,talvolta inghiottito da tempeste d’acqua e
neve ma io continuavo imperterrito per la mia strada. Visionavo centinaia di
filmati,cercavo foto o altri particolari che potessero meglio farmi capire a
cosa andassi incontro. Lunghe telefonate con Paolo Bucci che era stato ai
nastri di partenza nell’edizione precedente mi caricavano e mi davano ancora
più forza. Ricordo che una sera mi disse:” Ciro,questa è già una competizione
aspra di suo ma se dovesse piovere,è merda”. L’eco di quelle parole ha sempre
rimbombato nella mia testa. Nevicava o pioveva ed io m’allenavo ancora più
duramente su quella sponda di rio. Molti sguardi increduli mi seguivano,molte
domande della gente accompagnavano le mie uscite e quanta ilarità nei miei
confronti ho dovuto sopportare. Io li guardavo,sorridevo e non dicevo niente.
La risposta era dentro di me... “Arriverò a Paraisopolis, al traguardo di
questa prova io ci sarò! “Continuando così per mesi è arrivato anche il giorno
della partenza. Una vigilia un pò tormentata con febbre e vomito che non deponeva
certo a mio favore. Le condizioni meteo la settimana prima della mia partenza
dall’Italia erano state pessime: La zona tra Sao Paulo e il Minas Gerais era
stata colpita da molte piogge. Non era un quadro idilliaco,assolutamente.
Armato della incrollabile fiducia in me stesso,dal vedere sempre positività
anche quando tutto sembra volgermi contro e dalle previsioni del tempo che
almeno nel giorno dello start davano il sole,prendo il treno con
ottimismo,direzione Roma Termini. Arrivo in seguito all’aeroporto di Fiumicino
accompagnato dal mio amico Mirko e ad attendermi c’è quel gran signore di Mauro
Firmani che mi terrà compagnia fino all’imbarco. Volo per Francoforte e poi
altro decollo stavolta per Sao Paulo-Guarulhos dove atterrerò all’indomani
mattina. Sono emozionatissimo perché quando torno nel grande paese sud
americano è come se riapprodassi a
casa,tra la mia gente. E’ un legame forte,un cordone ombelicare che mai è stato
rescisso da quando ho lasciato il Brasile anni orsono. Procedure di sbarco e
immigrazione velocissime poi l’incontro con Carlos che non vedevo da due anni.
Subito andiamo a noleggiare l’auto che ci servirà per gli spostamenti e per la
gara. Qui fa la sua comparsa Silvia che già ha fatto l’intero percorso del
Caminho da Fè e ne conosce bene le
particolarità. Sbrigata anche questa formalità si parte in direzione Sao Joao
da Boa Vista. Dopo numerosissimi caselli autostradali,un ottimo pranzo in un
ristorante dove si mangiava cucina mineira,tante chiacchiere e quasi quattro
ore di viaggio,giungiamo a destinazione. Un paesino ordinato,così appare ai
miei occhi questo angolo di Brasile a me sconosciuto. Incontriamo subito
l’organizzatore,il comandante Mario Lacerda, che ci accoglie nel migliore dei
modi,sorridendo. Mettiamo a punto qualche dettaglio e poi andiamo in
albergo,dove stanchissimo vado a letto subito. Dormo benissimo ma nella notte
vengo svegliato dal rumore degli scrosci che vengono giù dal cielo. Intanto le
parole di Paolo :” ...se piove è merda...” venivano a galla. Ormai è l’alba e
non piove più da qualche ora. Facciamo una ricca colazione e ci rechiamo in un
club dove ci sarà il ritiro dei pettorali. Moltissime persone presenti:
accompagnatori,atleti,staff. Si,perché la manifestazione ha diverse competizioni
al suo interno : quarantotto ore,sessanta,in coppia,tris o quadruplo. Molti
gl’indigeni ma anche tanti provenienti dagli Stati Uniti d’America,
Polonia,Italia,Singapore,India ecc. Un bel mosaico multietnico all’insegna
della corsa. Mi accorgo in modo sorprendente della mia enorme popolarità
lontano dal Bel Paese. Aver corso e concluso la Spartathlon,gara nella quale
solo quattro brasiliani hanno visto la fine, mi eleva sorprendentemente. Ritiro
il pettorale ma quest’anno c’è la novità rappresentata dal chip che verrà
consegnato all’atleta e alla sua macchina d’appoggio in modo da controllare in
tempo reale le posizioni, le velocità ed eventualmente il verificarsi
d’imbrogli. Si vocifera,infatti,che negli anni precedenti ci siano stati dei
furbi...Ogni mondo è paese. Molto importante il briefing tenuto dagli
Organizzatori,ci parlano dei problemi che possiamo incontrare,del percorso e
della sua segnaletica. Dopo le foto rituali di gruppo ed un buon pranzo
offertoci gentilmente,siamo liberi d’andare e di pensare ad altro per liberare
un pò la mente. Stiamo in giro e nel pomeriggio facciamo un summit per mettere
a punto la strategia. E’ in quel momento che capisco quanto sia importante il
lavoro di squadra,il non commettere errori e disciplinare tutto perfettamente.
La linea di confine tra il successo e la sconfitta è molto sottile e corre
lungo una via che si chiama pianificazione. Il mio “equipaggio” aveva lavorato
benissimo quando io in Italia pensavo solo ad allenarmi : stampe con altimetrie
dei singoli tratti,foto di particolari punti del percorso e tanto altro. Tutto
mi faceva intuire come e quanto fosse importante anche per loro arrivare al
traguardo e questo mi responsabilizzava ancor di più. Vedere i loro occhi
carichi d’entusiasmo,il loro prendersi cura di me, mi spingerà a dare il
centouno per cento e a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Credevano in me ed io
mi fidavo di queste persone, si era creata la giusta chimica. Il destino però
ci doveva ancora regalare una grande sorpresa. Stavamo passeggiando,una cosa
banale che magari avrei potuto non scrivere ma durante questa camminata
incontreremo quello che sarà poi l’ingranaggio che farà girare alla perfezione
l’intero meccanismo. Lui è Ariovaldo Branco,notissimo ultramaratoneta di Santos
che ha nel suo curriculum : una Spartathlon, due Badwater e ben cinque
Brazil 135. E’ alla ricerca di un albergo perché è li per aiutare un’americana.
Avendo un posto letto libero lo invitiamo nel nostro alloggio. Entro subito
in sintonia con lui. Ride,scherza e conosce tutti; percepisco subito che è una
persona dal grande cuore e questo per me fa la differenza. Andiamo a cena,un
rodizio di pizza dai sapori in Italia sconosciuti. Abbiamo modo di parlare
tanto e accenno della mia paura a correre da solo nelle tenebre tra quelle
montagne. “Tranquillo Cirinho, di notte al buio farò,se mi è possibile la
sponda tra te e la statunitense. Stai solo sereno,la nottata passerà sempre e
dopo ci sarà sempre la luce”. Dopo quelle parole rilassanti torno in albergo a
riposare. Il crepuscolo del giorno è già avviato e il sonno ha la durata di un
battito d’ali di farfalla. La campana della chiesa con i suoi sei rintocchi ci
fa capire che è giunta l’ora di svegliarsi e di far colazione. Ore otto e
trenta,siamo in piazza Cel. Joaquim Josè per la partenza. Appello per tutti i
partecipanti,la banda musicale a rallegrare ancor di più l’ambiente, tante foto
e sorrisi stemperano un poco la tensione. Vengo avvicinato da un atleta che
riconosco subito,è Henrique Jacob,mi chiede di fare una foto con lui ed io gli
racconto delle ore passate a vedere i suoi video della corsa su youtube,
scoppiamo a ridere poi diventa serio e mi dice :”Cirinho,questa prova la superi
solo se hai fiducia in te stesso”. Ore nove in punto,si fa sul serio. Il comandante
Lacerda dà il via all’edizione del 2013
della Brazil 135. Si esce da Sao Joao da Boa Vista e la strada è già
nervosa,trascorsi cinque,sei chilometri d’asfalto incontro la mia macchina
d’appoggio e ci diamo appuntanento dopo quindici chilometri ad Aguas da Prata.
Ci fanno svoltare su una strada sterrata e qui inizia il calvario. Fresco e
tranquillo passo le prime due asperità con calma,l’andatura è lenta e va bene
così. Il percorso è già molto duro ed è importante mantenere delle riserve
d’energia. Il mio fisico viene messo a dura prova ma i miei occhi vengono
rapiti da scorci che sono meravigliosi. Si ritorna sull’asfalto perché si entra
ad Aguas da Prata. Mi fermo,riempio la mia fedele borraccia e riparto
impassibile. Altra salita e altro rallentamento. Mi raggiunge Carlos, con lui
che m’imposta i vari ritmi di corsa raggiungo la base del Pico do Gaviao.
Precisa come un orologio svizzero c’è Silvia,mi porge un panino che mangerò
nell’ascesa della cima più alta di tutta la corsa,intorno ai millesettecento
metri. Cammino perché c’è una pendenza ripidissima ma quando arrivo in alto
vengo ripagato da una visione paradisiaca,una vallata immensa dove il mio
sguardo si perde fino quasi a non scorgere l’orizzonte. Questo mio primo
traguardo mi riempie di gioia. Me la sognavo di notte questa erta, persone che
stancamente andavano su al passo e adesso ero lì e quasi non ci credevo ma era
tutto vero. Inizio a scendere,corro ma è una corsa frenata perché rischierei di
non poter più rallentare e di farmi male. Fa caldo,molto caldo. Il sole è allo
zenit e nei tratti dove batte direttamente a terra,dopo la pioggia dei giorni
precedenti, rende il terreno molto duro e sconnesso. Molta attenzione devo
prestare affinchè il mio incedere possa avvenire in sicurezza. Ritrovo la
macchina alla base del monte, prendo un pò di frutta,rabbocco la borraccia e
riparto. Il caldo lo allevio col ghiaccio che Silvia e Carlos comprano nei vari
centri che attraversano in auto. Arrivo ad Andradas che è pomeriggio inoltrato.
Continuo a prendere il mio gel ogni ora e mi sembra tutto ok. Ad un certo punto un problema ad una lente a
contatto mi fa fermare,non riesco a tenere gli occhi aperti. Mi calmo un
momento,risolvo l’inconveniente e dopo
una ventina di minuti sono lì ancora a correre. Intanto dai fori praticati alla
busta del ghiaccio che ho messo sotto il cappellino escono delle gocce d’acqua
fredda che il mio corpo sembra gradire molto. Mi attendono altri lunghi
chilometri prima di arrivare ad un altro punto micidiale: Sierra dos Limas. Per
strada incontro altre macchine che aspettano altri atleti e spesse volte
incrocio il maestro Heroi Fung anche lui di supporto ad un altro runner.
Stravede per me questo saggio orientale già allenatore di tantissimi
ultramaratoneti brasiliani. Mi dà tanti consigli e mi offre talvolta anche il
suo aiuto. Si corre abbastanza all’ombra,la cosa è piacevole però a terra è un
pantano. Fango che il sole non è riuscito ad asciugare,pietre e scarpe che
diventano pesantissime mi fanno esclamare:” Mamma mia, chi me l’ha fatto fare !!! ”, poi sorridendo come sempre andavo
avanti. Con l’astro lucente in fase calante e l’approssimarsi della sera
continuavo il mio percorso. Ad un certo punto, quando il buio ha rapito la
scena alla luce, vedo da lontano la mia macchina d’appoggio. Mi fermo dieci
minuti,mi stendo a terra su un tappetino e mi rilasso un pò. Quando sto per
riandare compare Ariovaldo, dice che l’americana ha avuto un problema e si è
ritirata. Da quel momento sarà a mia completa disposizione. Riprendo in
compagnia del brasiliano e sono molto più baldanzoso. Moltissimi animali lungo
il tragitto: vacche,cavalli,cani,uccelli di tutte le specie ci guardano e non
sembrano minimamente infastiditi dal nostro passaggio. Parla tanto il santista,
è esperto sa che la notte gioca brutti scherzi e la salita da fare è tremenda.
Mi vuole lucido e vi riesce perfettamente. Tra qualche difficoltà scolliniamo.
Altro rifornimento, altra vetta e si scende verso Barra. Un pò stanco ed il
refrain si ripete fino a Crisolia. Qui i miei due pacers si danno il cambio,non
vogliono lasciarmi solo sapendo della mia fobia a correre in solitaria tra
quelle montagne. Carlos entra in scena e l’andatura cala di molto ma questo non
è un problema. Ormai già da tanto tempo la mia equipe mi chiedeva quando e se
avessi intenzione di riposare un pò. La mia risposta era sempre la stessa:”
Arriviamo a Inconfidentes perché mi avete assicurato che da lì in poi la strada
spianerà e poi m’addormenterò una mezz’ora in macchina”. Giunti in un’altra
località la solerte Silvia mi passa un altro panino e della coca cola,fatico a
mandarli giù. Un leggero di nervosismo vedo che serpeggia tra i miei
accompagnatori,li capisco,sono stanchi anche loro. Non è facile per me ma anche
loro non vivono momenti di felicità. L’auto a volte rischia di rimanere
impantanata nel di fango rosso e se ciò accadesse sarebbe la fine della gara
anche per me. Riporto la serenità,siamo una squadra e bisogna andare in una
sola e unica direzione. Riprendo sempre con Carlos. La notte della Serra
Mantiqueira è fantastica,mi circonda di buio ma m’illumina dall’alto di un cielo
stellato che mai prima di quel momento avevo ammirato. I lunghi silenzi
trafitti solo dai versi degli animali e una sensazione di pace mettevano la
museruola alla mia enorme fatica. Arriviamo a Ouro Fino e qui incappiamo in un
piccolo inconveniente. Pur seguendo le indicazioni il paulista non è convinto
che siamo sulla retta via. “Carlos, la
freccia indica quella direzione,andiamo”, “Non sono sicuro,chiediamo a
qualcuno”,la risposta del brasiliano. Un ragazzino ci fa tornare indietro,
perdiamo un pò di tempo,richiediamo ad un altro che ci fa riprendere la
direzione che avevamo in origine. Altri quattro chilometri e anche
Inconfidentes è raggiunta. Sono le due e un quarto e decido di riposare qualche minuto.
Alle tre ricomincio a correre ma questa volta con Ary che ,tranne per qualche
chilometro, non mi lascerà più fino al traguardo. Convinto ormai che la parte
più dura del cammino sia passata,affronto il resto con più ottimismo. Ho qualche conato di vomito e così cambiamo
il sistema d’idratazione passando al succo di goiaba e all’acqua di cocco.
Saranno le mie bevande fino alla fine. Andando avanti però m’accorgevo che
m’avevano mentito,la strada saliva eccome se saliva,era durissima. Ormai i
primi raggi solari fanno capolino dal buio, la gente ancora un pò assonnata è
in strada, siamo arrivati in un altro paese. Ary si ferma in un forno e compra
del cibo a base di patate. Continuo per un piccolo tratto da solo,raggiungo
l’auto mi svesto degli indumenti notturni e di nuovo via. Vengo
appaiato ancora dal santista,mi dice: “Cirinho,dammi la tua borraccia e il
marsupio,l’asino lo faccio io,tu pensa solo a correre leggero.”. Il sole
rapidamente raggiunge il suo apice. Lungo la strada non si riesce più a
comprare il ghiaccio. Diventa critico proseguire, i raggi solari mi perforano,
sono dei martelli pneumatici sull’epidermide, le gambe sono affaticate dal
continuo alternarsi di salite ripide e di discese, tra terra battuta dura e
fango,sterrato e asfalto. “...Tranquillo,da Inconfidentes in poi...” , erano le
parole dei miei pacers che ricordavo. “ Finiranno,queste salite”, mi
ripetevo,ma più che ripetermelo era una speranza; più di una speranza era un
sogno perché sapevo bene che il percorso avrebbe presentato ancora delle belle
sorprese. Altra cima di una durezza orribile : Tocos do Mogì. Non vedevo mai la
sommità però anche qui la natura aveva disegnato il bello dando il meglio di se
stessa. Guardando verso la linea di confine tra il cielo e la terra,una strada
rossa pennellata tra le molteplici tonalità di verde con tanti animali
incastonati al suo interno. Il paradiso. Veniamo giù ma abbiamo finito l’acqua.
Da lontano una jeep,è Fernando Noguera altro organizzatore di gare in Brasile,
conosce Ariovaldo, ci fermiamo. Ci fornisce del prezioso liquido ed in più ci
dà anche del succo di goiaba e acqua di cocco. Ringraziamo e andiamo... Passiamo
un atleta anche lui molto provato,gli chiediamo se ha bisogno di qualcosa ma ci
fa un cenno che è tutto ok. Più avasnti ritroviamo la nostra auto. Altra sosta.
Il prossimo obiettivo adesso è arrivare ad Estiva. Superiamo ancora un altro
atleta,una bellissima cubana con la quale scambiamo volentieri quattro chiacchiere.
Ora però anche le discese sono divenute più dure quasi quanto le salite,però
con la forza di volontà procediamo. Giungiamo anche ad Estiva, mi faccio curare
due vesciche che si erano formate, la parte lesa brucia molto ma stringo i
denti. Tra tanta sofferenza una cosa ricordo volentieri ed è l’allegria con la
quale io e Ary correvamo. Cantavamo e ci divertivamo,non abbiamo mai smesso di
essere positivi anche quando eravamo rimasti senz’acqua oppure quando la strada
ci faceva dannare. Eravamo li, stavamo facendo quello che ci piaceva e poco
importavano i tormenti e i patimenti ai quali sottoponevamo i nostri fisici. La
vita è il sorriso,il sorriso che hai sul tuo viso. Ormai da Estiva manca solo
una maratona al traguardo. “...cavolo solo una maratona all’arrivo,cosa sarà
mai ? “Ancora tantissimo tempo per concludere la prova in quarantotto ore ma il
mio obiettivo sono le quaranta. C’è tempo,c’è tempo. Qui il mio pacer mi dice
:”Cirinho, la prova è tua, vai da solo
adesso e vai con Dio.” La temperatura era alta,troppo. Ghiaccio non ce ne,
Silvia mi guarda negli occhi con dolcezza ma nel suo sguardo leggo una
determinazione quasi da far paura, un brivido gelido mi corre lungo la schiena.
“Cirinho, andiamoci a prendere queste medaglie”. Riparto da solo,sbando un pò.
Nella mia testa solo calcoli matematici, mi estraneo da tutto quello che è
l’ambiente esterno. Riconosco i sintomi,rivedo i fantasmi del lago Balaton
(gara dove ebbi un’insolazione). Cerco la calma, la pace nei miei pensieri e
ripenso: “Mamma mia, Mamma mia, chi me l’ha fatto fare ?”. Avanzo, c’è
ancora la mia auto ma stavolta trovo il ghiaccio. Trovo refrigerio in quei
cubetti d’acqua solida. Sto per riandare e Ary mi dice che farà con me altri
venti chilometri. Rinvigorito dalle parole del mio scudiero mi rimetto in moto.
Non è facile e dopo qualche chilometro vediamo anche la nostra macchina ferma
che non riesce a superare uno strato fangoso. A fatica oltrepassiamo anche
questo. La temperatura è altissima. Il mio amico è stanco ma lo sprono a
continuare. C’è una pozza d’acqua, bagniamo i cappellini e avanziamo.
Raggiungiamo ancora Silvia e Carlos,prendono degli asciugamani ghiacciati e li
appoggiano sulle nostre spalle. Alcuni
minuti così e poi via. Qualche migliaio di metri più soft e poi ancora
salita, sembrano non finire mai, pare di stare in un girone dantesco. Una jeep
ci viene incontro da lontano,è il comandante Lacerda. Scatta qualche foto e ci
dice la nostra posizione :decimi. Valichiamo,vediamo nuvole nere in lontananza.
Dopo un pò comincia a piovere, “...se piove è merda...”,le parole di Bucci
tornano d’attualità. Cittadina di Consolaçao, i miei stoici aiutanti mi
aspettano all’intemperie. Prendo il k-way, la luce per il buio anche se è
pomeriggio (avrò ragione a farlo) e la bandiera dell’Inter.. Mancano venti
chilometri. Questa sarà la nostra ultima sosta,mi dicono che mi aspetteranno a
trecento metri dal traguardo non prima,però,d’avermi accompagnato ad un bivio
dove avrei potuto,data la stanchezza,sbagliare rotta. Da lì in avanti sarebbe
iniziato l’ultimo tratto, pianeggiante secondo loro fino a Paraisopolis. La
pioggia diventa battente,corriamo sull’asfalto arrivando al famoso crocevia, ci
salutiamo ed inizio l’ultimo pezzo da solo. Effettivamente salite non ce ne
sono,c’è d’aggirare una “pietra” così la chiamano loro,in realta è una
montagna. La presenza di tante vacche sul percorso mi ostruisce il passaggio,mi
fermo,ho paura. Provo a chiamare qualcuno nella casa li vicino ma nessuno mi
risponde. Il piovasco che viene giù con violenza inaudita,il freddo,
la stanchezza e lo scoramento tendono a prendere il sopravvento. Mi armo di
coraggio e pian piano passo attraverso la mandria che beatamente pascola.
Pericolo scampato? Macchè, cinquecento metri e la scena si ripete. Sempre con
cautela e timore mi muovo tra i quadrupedi che mi lanciano strane occhiate.
Procedo seguendo sempre le frecce gialle ma ad un certo punto m’indicano la
direzione verso un cancello di legno chiuso. Scavalcarlo non è facile in
condizioni normali,figuriamoci dopo trentaquattro ore e mezza di corsa, la
possibilità che possano verificarsi dei crampi è alta,chi m’aiuterebbe in caso
di bisogno? .Mi rilasso e oltrepasso l’ostacolo. Ormai è tempesta ma almeno la
strada anche se in leggerissima salita
presenta poche delle difficoltà che ne avevano caratterizzato molti
tratti precedenti. Sembrano non finire mai questi chilometri che mi separano
dal traguardo. Continuo ad andare ma ecco la sorpresa,un mostro davanti a me.
Una salita allucinante è lì, “...e questa da dove esce fuori ? “ mi dico
scherzando con me stesso. Inizio a camminare ma non è facile; le scarpe sono
infangate e pesano come due macigni. Arrivo su sperando di vedere a valle il
paese. Niente di più falso,ancora una salita e la scena si ripete. Anche in
discesa ci sono delle difficoltà,si scivola ed è anche sopraggiunto il buio.
Vado avanti con accortezza. Un tratto d’asfalto davanti a me,generalmente sta
ad indicare l’ingresso in paese. Ringalluzzito da ciò,avanzo con baldanza. Ci
sono due figure in lontananza,”Chi saranno mai? Le avvicino,è un atleta
brasiliano col suo aiutante,barcolla e con un filo di voce mi dice:” Vai, è
finita,sei arrivato”. Penso che ormai manchi al massimo un chilometro. Niente
di più ingannevole. Le indicazioni mi riportano sullo sterrato, un pò di
delusione mi avvolge ma non può mancare tanto mi ripeto,” non può! “. Vedo una
pietra nera a cinquanta metri da me ma sono esausto,solo in mezzo alle
montagne,al freddo e nel pieno di una bufera e la scambio per un cane. Ho paura
dei randagi,mi fermo. Il masso non si muove, mi guarda e penso: “Sarà abituato
a veder passare delle persone,sarà tranquillo,forse”. M’approssimo a lui
lentamente e quando gli sono a cinque metri m’accorgo d’aver avuto
un’allucinazione. Continuo il mio calvario,altra rampa da salire,vado su,mi
volto spesso per vedere se ci fosse qualcuno al mio inseguimento,cerco di
correre coperto cercando di nascondermi alla vista di chi mi segue in modo da
non essere preso nel mirino. All’improvviso un fascio di luce, una voce. E’ una
macchina dell’organizzazione,mi passa e di nuovo il buio totale,un tratto
d’asfalto e sento dentro di me che è quello finale. All’improvviso come musica
per le mie orecchie sento:” Cirinhoooooooo sei tuuuuuuuuu? “. “Siiiiiiiiiii”,rispondo.
Sono alle porte di Paraisopolis, Ariovaldo mi accoglie con un abbraccio e urla
il mio numero di pettorale ai giudici che lo comunicheranno via radio al
traguardo. Discesa durissima,quasi a strapiombo ma ormai è finita. “Eravamo
preoccupati, non ti vedevamo arrivare”, queste le parole del santista. Gli
parlo degli animali che ostruivano il percorso, del cancello da scavalcare,
dell’allucinazione e di tanto ancora. Ormai era tutto passato gli chiedo di Carlos
e di Silvia,mi risponde che mi stanno aspettando, piangendo, a trecento metri dal
traguardo. Iniziamo a cantare io e il brasiliano, le stesse canzoni che
avevano fatto da colonna sonora ai tantissimi chilometri corsi insieme
riecheggiano . Eccoli gli altri due amici :”Carlooooooooos,Silviaaaaaaaaaaaaa”,
con gli occhi ancora gonfi di lacrime mi vengono incontro e mi stringono in
un’abbraccio. La chiesa di Paraisopolis,il traguardo. I miei pacers vogliono
che io sia un passo avanti a loro. Non accetto. “Dovete arrivare insieme a
me,siamo una squadra e voi siete stati fondamentali”. Segnati dalla fatica ma
felici e urlanti tagliamo il traguardo. Sono le venti e quarantuno e dopo trentasei ore e quarantuno
minuti mettiamo fine al nostro sforzo.Veniamo premiati,fotografati e
intervistati. Li abbraccio forte uno ad uno ancora una volta,loro ricambiano la
stretta con la stessa intensità. Sempre sorridente vengo coccolato da tutti, firmo autografi ed anche il figlio del
Sindaco, un ragazzino simpatico, chiede alla mamma se può farsi immortalare con
me. E’ uno spettacolo di linguacce e quan’altro per stemperare la tensione.
Torno in albergo,doccia e messaggio in Italia per avvisare del mio arrivo. Vado
a letto ma verso le due mi sveglio, accendo il tablet e scopro che il giornale
della mia città nella sua versione on line, ha già dato la notizia con tanto di
foto e super articolo. Sulla mia pagina facebook noto con piacere che mio
fratello Enzo ed il mio amico Andrea avevano dato gli aggiornamenti di tutti i
miei passaggi e tanti amici m’avevano seguito
facendo il tifo per me. Un successo. Torno a chiudere gli occhi, al
mattino seguente scendo in piazza a vedere gli altri arrivi e con orgoglio
mostro a tutti la mia maglietta di finisher. Mi avvicina un americano e mi dice
:” Cirinho,questa è più dura della Badwater ultramarathon, io le ho corse
entrambe.” Carlos e Silvia devono partire subito perché hanno degli impegni
lavorativi, io insisto per farli rimanere ma loro restano della loro decisione.
Scoprirò più tardi che per seguirmi in questa mia avventura avevano preso dei
permessi non retribuiti a lavoro. Torno in albergo,c’è Carlos che sta
preparando le sue cose. “Tieni guerriero,questa è per te”,gli regalo una delle
due magliette bianche da finisher che sono diverse da quelle degli
accompagnatori. Non vuole,non accetta. “Cirinho è tua,è la tua ! “Gli spiego
che se abbiamo vissuto quell’avventura è stato perché lui ha organizzato tutto
e mi ha fatto rimanere sempre sereno. Si convince, si siede sul letto con il
trofeo tra le manie se lo pone sul viso. Resta immobile per qualche minuto,in
silenzio e assorto. Capisco la sua emozione che poi è anche la mia. Si alza
singhiozzando e mi stringe. “ Mi hai dato una delle più belle soddisfazioni
della mia vita,sarai sempre il benvenuto in Brasile.” Scendiamo in strada trovo
anche Silvia che sta caricando l’auto e anche lei confusa mi saluta. Ultimo
pranzo insieme e poi ripartono. Resto nella città del Minas Gerais con
Ariovaldo, guardiamo gli altri arrivi e poi la sera andiamo in un locale dove
ci verrà offerta una pizza e ci saranno i saluti finali. Il giorno dopo
partenza per Sao Joao da Boa Vista con Ary , Jarom e Tania . Si prosegue ancora
per Praia Grande quando arriveremo nel tardo pomeriggio. Vengo accolto dalla
famiglia del mio amico come se mi conoscesse da anni. Mi mettono a disposizione
tutto. “Questa è casa tua”. La sera un bel churrasco,la mattina dopo in
spiaggia e poi nel tardo pomeriggio mi accompagnano al pullman per andare
all’aeroporto.
Ore diciannove e
trentacinque, l’altoparlante chiama il volo Lufthansa per Francoforte... Cala
il sipario sulla partecipazione di Cirinho alla Brazil 135.
Devo essere onesto,senza la squadra che mi ha
supportato,difficilmente sarei arrivato al traguardo. Hanno fatto un lavoro
encomiabile. Grazie.
Ariovaldo, grande ultramaratoneta brasiliano, si è messo al
mio servizio umilmente e mi ha accolto a
casa sua come un fratello. Grazie
Jarom,una persona fantastica e collaboratore del comandante
Lacerda.Sempre molto presente. Grazie
Enzo e Andrea che hanno aggiornato la mia pagina facebook in
tempo reale. Grazie
Brazil 135, facendomi fare un tratto del Caminho da Fè, immerso
nello scenario della sierra Mantiqueira mi hai fatto capire ancora di più il
valore dell’amicizia e il significato del lottare uniti per una causa comune. Grazie
A tutti gli amici che mi hanno seguito con simpatia e che
hanno inondato il mio profilo fb di bei messaggi. Grazie.
A chi ha avuto la pazienza di leggere ed arrivare fino alla
fine. Grazie