venerdì 14 dicembre 2012
Il segreto della maratona di Reggio Emilia...
lunedì 3 dicembre 2012
Classifica Pacer Turin Marathon 2012
Anche se alcuni erano alla prima esperienza da Pacer, il curriculum dei magnifici 35 angeli custodi di Torino è sicuramente impressionante: se avessero gareggiato a staffetta, tutti assieme avrebbero percorso (quasi) tre volte il giro della terra, 1.8 volte il raggio di Saturno, 1.5 volte quello di Giove, ed un sesto di quello del sole. Ciò significa anche la distanza corsa alla velocità della luce per quasi mezzo secondo. Ma il pacer non deve né correre a lungo, né velocemente ma "semplicemente" essere regolare, per aiutare i meno esperti a non consumare energie inutilmente.
Hanno tutti raggiunto questo semplice l'obiettivo? chi è stato il più regolare? chi è stato il miglior trio?
Noi di ThePacer.it abbiamo cercato di rispondere a queste domande, stilando la classifica dei migliori pacer. Sfruttando le (poche) conoscenze della teoria statistica dell'affidabilità e con semplici calcoli, abbiamo valutato le performance di tutti i pacer presenti sul percorso. L'idea è banale: come è stato spiegato nel decalogo del pacer, il nostro calcolo statistico ha determinato il gruppo più regolare tra tutti i pacer. Per evitare di penalizzare chi ha corso più tempo, abbiamo comunque "normalizzato" i risultati in modo da determinare l'affidabilità relativa del pacer, indipendentemente dal tempo complessivo. Il calcolo non è basato sul real time, ma come insegna il professor Massini sul tempo dallo sparo.
Ecco i risultati:
- Primi classificati, palloncini azzurri delle 3h30 (Eduardo Aguilar - Beppe Bizzarri - Massimo Petrucci - Valter Audisio), tutti e quattro perfetti, con il coefficiente di variabilità sotto l'1% (sintomo di eccellenza).
- Secondi classificati, palloncini delle 4h45 (Mario Boncore - Alfredo Mongelli - Domenico Quartucci), in particolare Mario ha avuto un indice sotto l'1% (ma con tre rilevamenti rispetto a 4 equivale a circa 1.5%).
- Infine, terzi classificati sono risultati i palloncini gialli delle 3h50 (Luca Aiudi – Gaetano Covizzi - Ciro Di Palma), da segnalare Ciro, al debutto da pacer, e Gaetano entrambi sotto il muro del 2%, segno di incredibile costanza dei tempi.
lunedì 26 novembre 2012
Turin Marathon : Emozione da pacer...
"Bella da toglierti il fiato". Questo è lo slogan col quale Turin Marathon ha inteso promuovere la sua gara facendo bella mostra sui siti podistici e sulle pagine di tanti giornali. Una maratona che ha saputo regalarsi un vincitore all'esordio sulla distanza insieme al record della gara al femminile, ha avuto la conferma di Valeria Straneo e l'ottima gara di Emma Quaglia, ma che si è concessa anche un brivido finale quando un atleta degli altopiani è arrivato barcollando al traguardo in stile Dorando Pietri.
"Emozionare per emozionarsi", è invece il messaggio che resta scolpito nel mio cuore e impresso in maniera indelebile nella mia memoria dopo aver corso nel capoluogo sabaudo. Il compendio di un fantastico week-end in terra piemontese. Non esagero se scrivo che a livello emozionale la maratona di Torino mi ha regalato tantissimo. La prima volta da pacer in un gruppo eccezionale, il record delle iscrizioni alla manifestazione frutto di un grandissimo lavoro svolto da parte di tutti, il saper di essere stato parte di tutto ciò e la soddisfazione sui volti di tutti, sono delle istantanee che difficilmente perderanno colore nell'album dei miei ricordi. Un giorno, quello di domenica scorsa, che resterà inciso nella mente di tanti per l'enorme partecipazione di atleti e di pubblico. Per mezza giornata Torino è scesa in strada mostrando il suo volto più bello. Maratona, StraTorino e Junior marathon, una festa dello sport all'aria aperta, dove la fantasia di tutti, top runner, camminatori, atleti veloci e lenti, ha potuto volare libera all'insegna dell'allegria e dell'amicizia.
Quest'anno c'era un nuovo percorso, tanta era l'aspettativa e la curiosità da parte di tutti. A mio modo di vedere le cose, promuovo questo nuovo tracciato a pieni voti, mi ha fatto ammirare ancora di più la città, la sua bellezza e il fascino particolare che evocano certe strade e alcune sue piazze. Torino ha avuto sempre una bella maratona, quest'anno però si è superata, è diventata grande. Non guardo al numero degli iscritti, sarebbe un gioco troppo facile e riduttivo, il mio occhio invece cade su quello che ha saputo offrire nell'intero fine settimana, a chi è arrivato nei giorni precedenti ha regalato concerti ed intrattenimento nella centralissima piazza San Carlo ma,anche a chi è giunto in città il giorno stesso della gara, ha donato tanto calore. Un esempio banale? Alla premiazione degli amatori non pochi atleti elite erano presenti; il loro essere lì ha significato dare il giusto risalto a chi la maratona la corre non per vincere ma sgomita nella pancia del gruppo ed è contento e felice anche solo se vede una propria foto o il suo nome su una pagina di un giornale da mostrare poi agli amici e da conservare. Sicuramente e con onestà dico che c'è ancora qualcosa da migliorare, però la base da cui partire è enorme.
Scrivevo prima che quest'anno è stata la mia prima esperienza da pacer ufficiale in una maratona, credetemi, alla fine ero molto più toccato io di tutti quelli che mi ringraziavano per averli guidati al traguardo. Sì, perché lungo i quarantaduemilacentonovantacinquemetri del tragitto ho fatto mie le storie di tutti quelli che hanno corso con me. La loro umanità, il loro voler raggiungere il traguardo in un certo tempo, il loro volersi regalare un qualcosa di cui essere fieri negli anni, è stata linfa per me. Un insieme di tasselli che il mio cervello metteva lì in un angolo, ma che ha saputo tirar fuori magicamente dopo il traguardo ricomponendo il mosaico. Un collage di pensieri e di sentimenti che aveva un titolo: Emozione. Non nascondo che, alla fine, vedendo tutti quegli atleti, stanchi ma fieri ed orgogliosi che mi circondavano festosamente, più di una lacrima è sgorgata dai miei occhi. Approfitto adesso per ringraziarli attraverso questo mio racconto.
Sono arrivato in Piemonte il giorno prima dell'evento sportivo e mi sono recato direttamente al centro maratona. Dalla stazione di Porta Nuova fino a Piazza Castello, passando da piazza San Carlo in quello che sarà l'ultimo tratto di maratona, noto con piacere che c'è una città già vestita a festa. Arrivato a destinazione apprezzo subito la prima miglioria rispetto all'anno precedente, gli stand sono tutti al coperto, in modo che anche una bella pioggia non avrebbe potuto causar danni. Il ritiro del pettorale e del pacco gara si svolge in modo celere rubando pochi minuti alla mia giornata. Resto lì, al tavolo dei pacer, fino all'imbrunire. Man mano che il tempo trascorre la gente aumenta e sono sempre di più le facce conosciute. Abbracci e foto con tutti o quasi. Passano da noi in diversi, ci chiedono dei tempi, dei colori dei palloncini e perfino se possono fidarsi. Col sorriso rispondiamo a tutti, dandoci poi appuntamento all'indomani mattina. Nel tardo pomeriggio, come il nostro "Capo" Mauro Firmani vuole, facciamo una riunione per organizzare il lavoro che dobbiamo svolgere il giorno dopo. Molto bello questo gruppo di " palloncini ", tutti amici e molto compatti. Non c'è invidia, si è tutti uguali, dal grande campione al più lento di noi. Quest'anno la nostra stella è stata Chiara Pandolfi, ragazza non vedente che, magnificamente supportata da Ilaria Razzolini, sarà capace di guidare tante persone al traguardo in cinque ore. Finito il briefing ci rechiamo al pasta party. Un "signor" pasta party: primo, secondo, acqua o bibita gassata, birra, gelato e cioccolata, c'è d'aggiungere altro?
Ritorno in albergo e poi subito a letto. Alba di domenica. Sveglia alle sei, colazione e poi in metro fino ad arrivare, dopo qualche passo a piedi, ancora al centro maratona. Iniziamo a gonfiare i palloncini, a scrivere su i tempi di riferimento, fino a quando tra lo stupore e le risate di tutti non tiro fuori una parrucca con la cresta fucsia su dei capelli verde fosforescenti. "Vorrai mica correre così?", era la domanda che mi veniva posta. "Perché no?", la mia risposta. Da quel momento credo di essere stato tra i più fotografati.
Ormai la città è sveglia, una bella giornata si profila ed il tempo è buono. A migliaia si riversano per le strade. Ci spostiamo verso la piazza che sarà il teatro della partenza. Per la sua conformazione non ci possono essere le griglie, è più larga che lunga e questo sarà un problema. Allo start (a proposito, chi lo ha sentito?), subito si è creerà un imbuto che rallenterà moltissimi atleti. Giunti in loco, aspettiamo con tranquillità lo sparo che ci darà il via. Una volta partiti, ci rendiamo conto che, transitati sotto il gonfiabile della partenza, abbiamo circa un minuto e mezzo da recuperare, usciamo dal centro e costeggiamo il Po.
Rubando qualche secondo al chilometro arriviamo alla mezza che abbiamo recuperato il gap ed abbiamo tre secondi di vantaggio. Manteniamo quell'andatura leggermente più veloce per permettere a tutti dei ristori più tranquilli. Il nostro passo è abbastanza costante. Tanti guardano il cronometro come ossessi, li vedo e consiglio loro di non farlo. "Ragazzi,al traguardo vi portiamo noi, state tranquilli". E' questo il mio monito, si fideranno e faranno bene. Lungo la strada faccio contenti molti bambini battendogli il cinque, tanti sorridono vedendo quella mia strana criniera multicolore. Gli ultimi chilometri per qualcuno che ci segue sono di sofferenza, cerchiamo di spronarli, li incitiamo fino a quando, giunti nell'ultimo tratto di percorso,alla vista della finish line in lontananza, mettono le ali ai piedi. La mia bandiera dell'Inter è già li che sventola da un po' e, tra le battute degli spettatori, tagliamo il traguardo in anticipo sul tempo prestabilito di sei secondi. Un successo.
Il ristoro finale è subito dopo il gonfiabile, ma deve essere però migliorato. Chi è arrivato per esempio dopo quattro ore e mezza ha trovato solo un pò di pane con le sottilette e il tè. Le docce e gli spogliatoi nella piazza antistante l'arrivo sono molto comodi da raggiungere, ma anche questi servizi si devono migliorare. Visto le spazio esiguo all'interno delle docce, con gli spogliatoi a una ventina di metri, sarebbe più logico unirli, trattandosi comunque di strutture mobili, in modo da non vedere uscire atleti mezzi nudi ed aspettare fuori al freddo perché dentro c'è folla.
Rimessomi a nuovo dopo la gara, insieme agli altri amici pacers, siamo ritornati a piazza San Carlo ad aspettare Chiara e il suo plotone delle cinque ore. L'abbiamo vista arrivare e ci siamo uniti a Lei creando una fila indiana che la vedeva come "testa". Molto bello è il saluto che la città ci ha riservato e che le ha tributato in particolar modo. Questa nostra trovata finale aveva un duplice significato: il primo era che anche chi è affetto da un problema grave può e deve fare sport con tutti e come tutti; il secondo era un nostro modo di ringraziare la città di Torino per averci ospitato. Sono rimasto nella zona del traguardo fino a quando non è arrivato l'ultimo. Fermo lì anche colui che è il padre di questa corsa,Luigi Chiabrera, che ,come fa,sempre ringrazia tutti fino alla fine.
Per concludere vorrei ringraziare un pò di persone perché è doveroso farlo. Un grazie va a Luigi Chiabrera, ai suoi collaboratori (i Ragazzi della Cascina, come li chiamo io) e a tutti i volontari. Molto prezioso il loro lavoro. I ringraziamenti vanno ascritti anche a Mauro Firmani, leader di Marathon Truppen, cioè dell'allegra e colorata brigata dei pacers. Un riconoscimento particolare va a chi ha reso, per me, questa giornata indimenticabile: alla città di Torino con i suoi abitanti e ai miei compagni di viaggio lungo tutto il percorso.
lunedì 12 novembre 2012
New York 2012: Una maratona forse mai nata...
Doveva essere il tributo ad una giornata di festa, la storia della maratona per antonomasia: Invece, quello sulla gara newyorkese, sarà il resoconto di una 42km che forse non è mai nata se non nel portafogli del "gruppo d'affari" che la gestisce e nella testa confusa del Sindaco della "Grande Mela".
Non fraintendetemi, è stato giusto non correre, per la prima volta nella storia, la New York City Marathon ed ha fatto bene il Mayor ad annullarla. Questo non vuol dire che errori non siano stati commessi, anzi. Nel mio modo di vedere gli accadimenti, si è assistito a tutta una sequenza di sbagli al punto che sembravano, in primis il Primo cittadino, dei dilettanti allo sbaraglio e non persone altamente qualificate. C'è da capire il momento, c'è da comprendere l'emotività, ma se quei Signori occupano determinati posti è perché devono anche prendere decisioni forti in momenti particolari.
Bloomberg è stato in balia degli organizzatori prima e dell'opinione pubblica dopo. Il non aver compreso subito quali problemi l'uragano potesse aver cagionato alle attività che si sarebbero svolte in città è stato grave ma non essersi reso conto dell'immane gravità e dei danni arrecati dall'evento atmosferico è stato ferale. Molto probabilmente hanno influito sulla decisione finale anche le elezioni presidenziali. Una scelta forse "consigliata" dall'alto e figlia dei sondaggi che probabilmente ha spostato gli equilibri della corsa alla Casa Bianca, facendo confluire magari i voti in una certa direzione. Questo e anche tant'altro ha fatto in modo che la cancellazione della gara di per se giusta fosse presa con un ritardo assurdo, comportando svariati problemi a tante persone. Si doveva disporre e chi era preposto a farlo non l'ha fatto.
Anche dopo il funesto 11 settembre 2001 fu fatta una scelta e, a torto o a ragione, fecero svolgere la manifestazione. All'epoca ci fu fermezza, quella che è mancata la settimana scorsa. Il Sindaco, guardandolo in televisione, ha sempre tentennato cercando continuamente di spiegare ogni sua presa di posizione ma non è mai stato convincente al 100% e sicuro alla stessa maniera.
E' difficile adesso spiegare cosa sia passato nella mente delle tantissime persone giunte negli Stati Uniti per correre l'edizione del 2012 della New York City Marathon alla notizia della cancellazione. Molto più facile invece è scrivere cosa ho visto sui loro volti e cosa ho letto nei loro occhi. Delusione, rammarico e in alcuni anche disperazione. Ho parlato con persone che piangevano perchè avevano risparmiato un anno intero facendo dei sacrifici enormi per regalarsi un sogno, il sogno di correre la maratona delle maratone, l'evento podistico al quale il mondo intero guarda. La gara che se non l'hai corsa, per l'uomo della strada, non sei nessuno. Uno show, una cassa di risonanza assoluta. Chi rimborserà i soldi a quelle persone? Probabilmente avranno, avremo l'iscrizione pagata per l'anno prossimo, ma il viaggio, l'albergo e le spese extra che dovranno, dovremo riaffrontare chi le rifonderà?
Avremmo capito e giustificato sicuramente se c'avessero detto della revoca della corsa prima di lasciare i nostri luoghi d'origine ma dopo essere partiti e aver fatto viaggi che sembravano estratti dai romanzi d'avventura per quanti scali qualcuno ha effettuato è inammissibile e inqualificabile. Troppi interessi, troppi soldi e troppo cose che purtroppo sono passate molto al disopra delle nostre teste sono successe. Anche noi dell'associazione "La Via della Felicità" dovevamo correre la maratona. Siamo giunti a New York giovedì sera e personalmente non avevo capito bene l'entità del dramma, nonostante già all'arrivo i bus che dovevano portarci all'aeroporto non ci fossero per mancanza di carburante. In taxi ho dormito ed una volta arrivati in albergo ho visto solo una città avvolta dalle luci come se niente fosse successo. Un salto sul tardi in una sfavillante e quanto mai accattivante Times Square non faceva altro che confermare quello che pensavo e cioè pochi danni e tutto rimesso a posto. Frugale panino e poi a letto.
Venerdì mattina, ritiro del pettorale e del pacco gara. Atleti, accompagnatori giunti da tutto il mondo riempivano il centro maratona. Un crogiuolo di razze, un mosaico di colori, una moltitudine di lingue, avevano trasformato il sito in un'autentica torre di Babele. Si respirava felicità, quel posto trasudava di emozioni. Anche io, poco incline a certi comportamenti sentimentali, mi facevo cullare da quell'onda positiva. Un pò di shopping nel pomeriggio e poi la mazzata. Arriva un messaggio dall'Italia alla nostra amica Simona: "Mamma, hanno annullato la maratona". Subito la risposta: "Tranquilla,è una notizia vecchia, abbiamo anche ritirato i pettorali. E' tutto ok". Qualcuno di noi, però, sconcertato da quel messaggio, si collega al sito degli organizzatori e vede quello che nessun altro di avrebbe voluto mai leggere: THE NEW YORK CITY MARATHON HAS BEEN CANCELLED.
La notizia si sparge in città e si estende a macchia d'olio. Un attimo di smarrimento s'impossessa del nostro gruppo, non sappiamo cosa fare. Ci guardiamo in faccia e cerchiamo di fare il punto della situazione. Siamo arrivati nella Grande Mela per portare il nostro messaggio attraverso la corsa, per far conoscere ancora di più La Via della Felicità. Cosa facciamo? All'unanimità decidiamo di unirci agli altri a Central Park nel giorno della maratona in modo da far sentire alla città la nostra vicinanza. Essere lì, presenti, significava dare un segnale di contatto da parte nostra a questa metropoli.
Un nostro caro amico americano ci porta a vedere la parte sud della città ed è in quel momento che capisco il dramma. Non c'era corrente elettrica, mancava il gas, di acqua nelle case neanche una goccia, strade ancora sott'acqua e devastazione in ogni posto, sembravano scene di guerra, pareva un film, un brutto film. Vedendo quello che i nostri occhi stentavano, facevano fatica o non volevano mettere a fuoco, rafforzavamo l'idea dell'utilità della nostra "missione" e, oltre che a sgambettare in quei giorni in cui siamo stati negli Stati Uniti, abbiamo offerto gratuitamente a chiunque fosse interessato l'edizione tascabile de La Via della Felicità, nota a contribuire a migliorare la qualità della vita. Con molto onore poi siamo stati al Consolato Italiano di New York, dove Sua Eccellenza il Console ci ha ricevuto. Al suo cospetto abbiamo fatto una presentazione della nostra nobile campagna sociale e abbiamo dato in dono al nostro esponente in terra americana, la copia del famoso testo, La Via della Felicità scritto da L.Ron Hubbard. Sua Eccellenza, molto colpito e affascinato, ha tanto apprezzato, ci ha incoraggiato e spinti a continuare lungo questo percorso atto a far conoscere questi ventuno precetti al mondo intero. Quando ci siamo congedati da Lui, non prima però d'aver fatto le foto nel salone dei ricevimenti sotto l'Italico Tricolore e la bandiera della Comunità Europea, si è vivamente raccomandato di ricontattarlo per l'anno prossimo, invitandoci nuovamente all'ombra dell'Empire State Building.
Questa esperienza nel nuovo continente è stata molto bella e istruttiva anche se vissuta in un momento drammatico. La sensazione che mi ha dato quella corsetta a Central Park domenica mattina è stata fantastica. Noi podisti di tutto il mondo con la nostra vivacità, pur nel rispetto di chi stava soffrendo, "scorrevamo" in quel verde e per le strade della città come il sangue che si propaga nelle vene, quel sangue che porta la vita in tutto il corpo. Noi quel giorno, 4 novembre 2012, eravamo la linfa vitale della città, una città che sicuramente saprà rialzarsi come già altre volte ha fatto e che sicuramente ci regalerà con gli interessi quello che qualcuno, giustamente, ma tardivamente, ci ha negato quest'anno. Io comunque la mia maratona l'ho corsa alle quattro del mattino in albergo sul tapis roulant, tre ore ventotto minuti e nove secondi.
lunedì 9 luglio 2012
UltraBalaton 2012 : Dall'inferno al...Paradiso.
“Ciro, come va?” “Manu, mi ritiro non c’è la faccio più. Sto morendo o forse sono già morto...”. “Sulla mia macchina non sale chi si vuol ritirare. Ti fai dare un passaggio da qualcun altro”. La macchina grigia, apparsa all’improvviso, accelera e se ne va. Lasciandomi solo in quell’oceano d’asfalto bollente.
...Vedo il traguardo azzurro, azzurro come il cielo e bello come il mare. Voglio solo lui. Eccolo, trenta, venti,dieci, cinque metri... “Siiiii!, urlo, m’inginocchio e guardo in alto. Inizio a piangere, ce l’ho fatta.
In questi due periodi così diversi e tra di loro agli antipodi, è racchiusa tutta la mia UltraBalaton 2012: La sofferenza atroce seguita da una gioia indescrivibile. Sono partito da Milano il giorno prima della gara insieme a Marco Bonfiglio (ultimo vincitore della Nove Colli Running), doveva essere un week-end tranquillo, ma si trasformerà ben presto in un fine settimana tragicomico.
Decolliamo dalla Malpensa già con mezz’ora di ritardo e atterriamo a Budapest. Dopo l’autobus e le due metro, ci rechiamo a prendere il treno che ci porterà in zona lago Balaton. Chiediamo informazioni a due ferrovieri che fanno finta di non capire. Girovaghiamo per la stazione domandando a destra e a manca, ma niente, sembriamo extraterrestri catapultati da un altro pianeta. Dopo un pò, fermi su uno stesso binario, troviamo due treni che vanno in due località diverse. Quello che parte prima dovrebbe essere il nostro e due passeggeri confermano la nostra ipotesi. Partiamo e, dopo mezz’ora di viaggio, il ferroviere che prima aveva fatto finta di non capire, ci dice, sogghignando beffardamente, che abbiamo sbagliato e che dobbiamo tornare nella direzione dalla quale stavamo arrivando. Nel cambio di convoglio troviamo un ragazzo che dove andare nella nostra stessa località e si offre da guida. Lo seguiamo, però ci fa capire che il viaggio, tra cambi ed altro, durerà circa tre ore e venti. Un’eternità! Decidiamo così, dopo aver ringraziato il giovane, di prendere un taxi. Ci chiedono quasi duecento euro, trattiamo finche l’autista della macchina più scassata ci dice: “Vi porto io per centoventi”. Aggiudicato. Naturalmente senza aria condizionata, sedile con le molle quasi di fuori ma va bene, solo che ci porti a Tihany sarà una vittoria! Arrivati ad un distributore fa il pieno e, all’improvviso, toglie la scritta taxi...(ogni mondo è paese).
Arriviamo nella piccola penisola del lago dopo un paio d’ore e quasi dimentico lo zaino sul taxi. Andiamo a ritirare i pettorali e notiamo con piacere che la zona è piena di gente allegra proveniente da tutto il mondo e note musicali volteggiano nell’aria. Si scherza, si ride ed intanto espletiamo tutte le formalità. Verso le otto e mezza il pasta party: Un piatto di farfalle scotte, con panna, bacon e zucchero a velo, un bicchiere di birra e un gelato. Quando tutto è sistemato andiamo in albergo. Andare in albergo? E’ un eufemismo. Chiediamo indicazioni ma naturalmente c’è chi non capisce e chi ci manda da tutt’altra parte. Taxi non ce ne sono, tutto buio e i locali stanno chiedendo. C’è un ragazzo, parla inglese ed è gentilissimo, ci fa vedere sul suo navigatore dove dobbiamo andare e naturalmente dobbiamo fare quasi cinque chilometri a piedi... Con santa pazienza c’incamminiamo. Dopo un chilometro e brancolando nel buio, arriviamo ad un incrocio: “E adesso?” Marco si ricorda che sul suo telefonino ha il navigatore, lo accende e, naturalmente, siccome non ce ne va una per il verso giusto, ci dice che deve aggiornare le licenze e quindi non funziona. All’improvviso, ecco il miracolo,una coppia ci viene incontro e la ragazza parla italiano. Gentilissimi più che mai ci fanno arrivare un taxi da un paese vicino, che giungerà dopo mezz’ora e così dopo tanto girovagare giungiamo in albergo.
E’ tardissimo, ma prepariamo comunque tutta la nostra roba per l’indomani mattina e poi sveglia alle quattro. Naturalmente, non potendo fare colazione perché non in orario, ci affidiamo alla bontà del portiere di notte che ci prepara un panino con prosciutto, formaggio e... peperoni. Sono le cinque del mattino ed insieme all’amico Giacomo Maritati ci rechiamo alla partenza e, tra foto ricordo e battute, aspettiamo l’orario della partenza. E’sabato 30 Giugno sono le 6.00 del mattino e, dalle sponde del lago Balaton in Ungheria, parte la 6^ edizione ella Ultrabalaton, gara di 212km che costeggia in parte l’omonimo lago. C’è caldo, ma ancora si sta bene.
Man mano che passano i chilometri, scorriamo simpatici villaggi ed i nostri occhi catturano i bei colori che disegnano il “mare d’Ungheria”. Incontriamo gente simpatica che ci vede come marziani, tutto molto particolare ma il nemico trama nell’ombra. La temperatura aumenta sempre di più e più avanzo e più mi accorgo che il percorso non è poi del tutto piatto come veniva descritto. Due salite col 10% di pendenza, un percorso fatto di saliscendi interminabili, passaggi su sterrato, erba e ancora asfalto. Sarà così per una sessantina di chilometri, quando poi il tragitto diventerà piatto fino quasi alla fine. Ben presto la temperatura si stabilizza sui 42/43 gradi, siamo ancora agli inizi e tutto procede abbastanza bene. Lungo la strada già si vedono atleti in difficoltà ed ancora il cinquantesimo chilometro è lontano da venire. Sirene d’ambulanza squarciano l’atmosfera e purtroppo questo sarà il refrain dell’intera corsa. La mia andatura è cauta e così mi permetto il lusso di scattare anche qualche foto ricordo. Le bevande ai ristori: Acqua, the, birra, coca, integratori, iniziamo a trovarle calde. Purtroppo anche gli Organizzatori si son fatti cogliere impreparati da questa anomala ondata di caldo. Non si trova del ghiaccio neanche a pagarlo (alla fine ne troveremo un pò ad un solo ristoro) e così, man mano, inizia a prendere corpo il dramma.
Non me ne accorgo subito ma pian piano pensieri negativi iniziano a far capolino, poi un’ondata di negatività prende posto nella mia testa. Pian piano il caldo s’impossessa di me. Reagisco, alterno il passo alla corsa cercando di riprendermi. Scorrendo alcune località turistiche vedo gente rilassata e sorridente e tutto questo stride col mio stato d’animo. Le persone, le cose, che incontro lungo il mio percorso non hanno più forme definite, sembrano liquide, l’asfalto bollente da lontano sembra bagnato, è un gioco ottico, ma in quel momento mi sembra stranissimo. In preda agli incubi e a paure che non ho mai avuto, inizio a camminare. Ma camminare sarebbe bello, barcollo, sono alla deriva. Passano i chilometri, tanti, pochi, non so. Il tempo scorre lentamente. Ho ancora un briciolo di lucidità, sottovoce cerco i motivi di questa disfatta clamorosa, le cause di queste mie difficoltà.. Un urlo dalle viscere esclama: “Sei un esaltato, ti devi ridimensionare, non hai più voglia di soffrire, hai sottovalutato la gara e adesso paga. Ritirati, ritirati, ritirati! Cerco di lottare ma, come un pugile suonato che vaga per il ring, sbando per la strada, non capisco niente. Avevo però coscienza che c’era anche chi stava peggio di me: Atleti stesi sull’erba nelle aiuole, sotto gli alberi nelle villette sul lago. Sembrava un campo di battaglia, una Via Crucis. Sempre quella flebile vocina mi diceva: “Vai avanti,vai avanti!”, ma subito veniva sopraffatta dai mostri. Sono ormai allo stremo delle forze. E’ pomeriggio inoltrato e adesso ho deciso di ritirarmi, chiedendomi che senso avesse continuare quello sperpetuo. Definitivamente nel mio cervello avevo già scritto la parola “fine” ed avevo già pensato a tutte le scuse che avrei trovato per giustificare questa mia personalissima Caporetto.
All’improvviso però una voce: “Ciro come va?” “Manu, mi ritiro, non c’è la faccio più, sto morendo o forse sono già morto...”. “Sulla mia macchina non sale chi si vuol ritirare. Ti fai dare un passaggio da qualcun altro”. La macchina grigia, apparsa all’improvviso, accelera e se ne va lasciandomi solo in quell’oceano d’asfalto bollente. Con i miei problemi e le mie angosce vedo un bar, fuori c’è un’altalena e un tubo di gomma dalla quale esce acqua. Mi fermo, mi tolgo le scarpe (cosa da non fare mai), slaccio il marsupio e cerco un pò di refrigerio all’ombra sotto l’altalena. Ormai sono perso. Dopo venti minuti mi rialzo, l’acqua mi dà una leggera scossa, ma ormai i titoli di coda stanno passando. Duecento metri più avanti c’è un ristoro, impiego dieci minuti per raggiungerlo anche perché non riesco a capire se sogno o son desto, credevo fosse un miraggio. Dieci interminabili minuti per porre fine alla mia agonia. Mi prendono il tempo facendomi mettere il chip, che ho all’indice sinistro, nella macchinetta. Non ho neanche la forza per dire: “Mi ritiro”. Vedo una sdraio, mi siedo un attimo e, mentre sto per raccogliere le ultime forze per chiamare il giudice, ecco che inviato dal cielo arriva il mio angelo salvatore, Alessandro “Rambo” Papi che, vedendomi come mai prima, esclama nel suo idioma toscano: “Cirinho, icchè tu fai?”. “Ale, amico mio, mi ritiro. Non ho più voglia di soffrire” e quasi piango dalla rabbia. Lui, dall’alto della sua esperienza, mi consiglia di stendermi e riposare un pò, non prima però d’aver bevuto e mangiato qualcosa. “Tanto il tempo c’è, stai tranquillo”. Intanto Manu, sua moglie, mi ha comprato una bottiglia d’acqua frizzante fredda che prima di bere mi passo sul collo, in faccia e sul mio stanco corpo. Il Papi riparte e la moglie lo segue dopo qualche minuto. Passa un americano e mi dice:”Cirinho, go,go c’mon, only two hours, poi sole no più”. “Sono le ultime parole che ricordo prima d’addormentarmi ed essere rapito dai fantasmi. Ogni tanto, qualcuno mi tocca forse per vedere la mia reazione, rispondo ma non so in quale lingua.
Mi sveglio e mi accorgo che sono passati circa cinquanta minuti. La situazione è completamente ribaltata. Sono fresco, tranquillo e riparto rinvigorito nel corpo e nello spirito. Echeggia nella mia mente il discorso di Al Pacino alla sua squadra nel film “Ogni maledetta domenica”. Lo conosco a memoria e, cambiando le parole, modellandole su quello che stavo facendo, mi ripeto: “Non so cosa dirti Cirinho, mancano un pò più di cento chilometri al traguardo. Tutto si decide oggi, ora tu o risorgi come atleta o scompari nell’oblio della mediocrità. Hai visto l’inferno pochi minuti fa, potevi rimanervi, bruciare lì, ma hai deciso di lottare e vedere la luce. Hai deciso di scalare le pareti dell’inferno e venirne fuori.... Adesso io non posso obbligarti a lottare! Guardati dentro, guardati negli occhi, scommetto che ci vedi un uomo determinato a guadagnare chilometri, ci vedrai un uomo che si sacrificherà volentieri per questa sua meta”. Quello che è successo prima non è mai esistito, vado avanti con fatica, certo, ma sicuro di me stesso. Ormai ho ripreso il controllo della situazione e so che niente e nessuno adesso mi potrà fermare. Mi ricarico della vitalità che sprizza la gente che vedo ballare, che mi saluta e m’incoraggia. Un sorriso può fare veramente molto quando si corre già da tante ore. Attraversato un tratto di centro urbano, si passa attraverso una pineta dove vengo anche investito da una bici che accompagna un atleta. Cado, mi rialzo e corro per altre tre ore. Quando è ormai quasi buio decido di prendere i manicotti, lo scaldacollo e la luce per la notte. Prima di ripartire mi sdraio un pò sull’erba, sotto un albero e mi addormento alcuni minuti.
Poco dopo riparto sempre con tranquillità assoluta, riprendendo la mia marcia. Per lunghi tratti si costeggia una ferrovia dove transitano treni molto vecchi che hanno il sapore del tempo che fu. La mia mente, a torto o a ragione, mi porta a pensare alla seconda guerra mondiale, quando milioni di persone innocenti venivano deportate nei campi di sterminio. Dopo un pò, anche la fortuna inizia a guardarmi in faccia perché sulla mia strada incontro due francesi: Juan e Gilles, quest’ultimo appena reduce da mille chilometri corsi qualche giorno prima della gara e per non farsi mancare niente anche dieci volte finisher alla Spartathlon, sei volte all’UltraBalaton e alla Nove Colli Running. E’ stanco, ma molto sicuro di sé, il transalpino. Formiamo un bel trio, parliamo, cerchiamo d’allentare la stretta della fatica. Ormai è notte, la temperatura dai 42/43 gradi diurni scende a 22/24. Nonostante l’escursione termica, il caldo c’è e si sente. Usiamo questa tattica di gara: Usciti dai ristori, camminiamo cinque minuti, poi una leggera corsa fino all’altro check point. Nei tratti dove si va al passo, sono loro che mi tirano, quando invece c’è da correre mi metto alla testa del gruppetto e faccio l’andatura, preoccupandomi di non staccarli. Le soste ai ristori sono ogni due brevi, una un pò più lunga. Tattica che si rivelerà vincente.
Figura fondamentale durante la nostra corsa è la moglie di Gilles, sempre pronta ad assisterci e a coccolarci. Lungo la notte il passaggio davanti ai ristoranti e ai locali notturni ci tiene svegli. Il percorso, in gran parte su pista ciclabile, è sempre ben segnalato e difficile da sbagliare. Ormai è quasi l’alba. Siamo ad un ristoro e bevo un bel caffè per la prima volta da quando sto correndo. Ripartiamo, ancora qualche minuto ed il cielo inizia a colorarsi d’azzurro, mentre il sole comincia già a pizzicare. La nostra tattica varia di poco, concedendoci più cammino che corsa. Mancano circa sessanta chilometri al traguardo. Col nuovo giorno però cambia in me qualcosa, la tranquillità si accompagna ad una forte determinazione, lo sguardo diventa cattivo. Gli occhi della tigre, adesso ho gli occhi della tigre! “Voglio solo il traguardo e bramo per quello. Il tempo e i chilometri passano, è cambiato anche lo scenario, ora si vede anche il lago. Inizia di nuovo il caldo soffocante. Ma, idratandoci bene e spugnandoci ancora meglio, debelliamo qualsiasi problema. Arriviamo a 19 chilometri dal traguardo e decido di cambiarmi. Gli indumenti del giorno prima lasciano il posto a nuovi capi puliti, più freschi e... sponsorizzati!
All’improvviso, però, la moglie di Gilles si avvicina seria e ci dice che stiamo andando, proseguendo così, fuori tempo massimo perché è convinta che il close fosse dato alla trentesima ora di corsa. Ci guardiamo in faccia, siamo sicuri che la signora si stia sbagliando, però la stanchezza e la continua insistenza della donna ci fa venire qualche dubbio: “E se avesse ragione?” Inizio ad innervosirmi un pò, non posso arrivare al traguardo e farmi sbattere la porta in faccia, non voglio! Decidiamo di recuperare per stare sotto le trenta ore, Juan però è poco reattivo, Gilles se ne accorge e non lo molla, anche io rallento e resto con loro. Non posso andarmene, abbiamo fatto più di cento chilometri insieme. Mi viene da piangere perchè so che potrei farcela. Gilles, a otto chilometri dal traguardo mi ferma, mi abbraccia e dice: “Vai Cirinho, se hai qualche dubbio è meglio che tu vada. Io sono sicuro delle trentadue ore, tu no. Vai, amico e grazie di tutto!” Aspetto Juan, abbraccio anche lui e parto come una scheggia, per farvi capire in otto chilometri gli ho dato 59 minuti (ma questo non conta).
Ormai solo un ristoro manca alla fine, lo passo, non mi fermo neanche. Due chilometri. Una lunga e ripida salita e poi gli ultimi mille metri. E’ domenica, mancano quasi tre, quattro minuti a mezzogiorno, ho il cuore che mi pulsa al massimo, è la gioia d’avercela fatta un’altra volta. Sono felicissimo, volo, l’ultima discesa ripida prima del traguardo e il gps segna 3'24’’ al km, la gente applaude, urla. Vedo il traguardo azzurro, azzurro come il cielo e bello come il mare. Voglio solo lui. Eccolo, trenta,venti, dieci, cinque metri: “Siii!”. Urlo, m’inginocchio e guardo in alto. Inizio a piangere, ce l’ho fatta. 29 ore 57 min. 33 sec. Al traguardo è stato fantastico incontrare gli altri finishers ed i loro accompagnatori.
Vedere gli altri arrivi è stato ancora più emozionante, il sapere cosa abbiamo sofferto per essere li in quel momento mi ha toccato il cuore. E’ stato difficile poi nascondere le lacrime quando Giacomo e Alessandro hanno oltrepassato il traguardo. Ho aspettato anche i miei due amici francesi e vedendoli da lontano sono corso verso di loro. Ci siamo abbracciati in una stretta infinita. Ci siamo guardati negli occhi e nessuno parlava, ma in quel silenzio c’era tutto: Fatica, emozione, rispetto e ringraziamenti. Signori, questo significa essere un ultrarunner. Dopo aver bevuto qualche litro di birra e mangiato una decina di ghiaccioli son tornato in albergo.
Cerco Marco ma lo vedrò solo dopo qualche ora quando mi racconterà della sua odissea. Era in terza posizione, è svenuto (ma non si ricorda) e si è risvegliato in ospedale a sessanta chilometri, con tre flebo nelle vene e col viaggio di ritorno da fare a sue spese. Intanto, posto su un social network la mia contentezza, ma anche la mia enorme delusione derivata dal fatto che m’ero praticamente ritirato. No, questo non mi andava giù assolutamente. Dall’Italia, però, alcuni amici mi facevano capire attraverso i numeri che dovevo essere solo contento di come fossero andate le cose. 202 partecipanti, 34 arrivati al traguardo ed io ventesimo. Praticamente solo il 15 % dei partenti era arrivato a completare il periplo del lago capovolgendo quelle che erano le percentuali degli altri anni.
La sera, come se non aversi corso per quasi trenta ore, io e Marco ci regaliamo un’altra passeggiata di otto chilometri con salite annesse per andare a riprendere, alla partenza, le sacche del forte atleta. Io cammino benissimo, non ho dolori muscolari, così come non ne ho avuti lungo la gara Non ho neanche una vescica e le caviglie non sono gonfie (grazie anche alle mie scarpe ON). Arrivati al ritiro sacche, una bella ragazza bionda mi riconosce e mi dice :”Ti ricordi, ti ho versato il caffè stamattina”. Un sorriso e poi le chiedo se posso rimanere a cena con lei intanto che Marco era intento a cercare le sue sacche. Questa donna mi ha regalato momenti fantastici, sguardi meravigliosi e una tenerezza infinita. Ritorniamo in albergo giusto in tempo per vedere il finale della debacle azzurra contro le furie rosse spagnole. Il giorno dopo, partenza per Milano e addio UltraBalaton. Addio, perché, anch’io come Paganini, non concedo mai il bis.
Voglio ringraziare come sempre chi mi ha permesso di correre questa gara: La mia società (Reggio Event’s), il mio allenatore (Vincenzo Esposito),il mio sponsor (Ginetto sport - Reggio Emilia) e tutti gli amici che mi seguono con simpatia non facendomi mancare mai il loro supporto.
domenica 8 luglio 2012
3^ Alpemarathon : Uno spettacolo...
Tutto è nato per caso l’anno scorso alla maratona di Torino, quando l’amico Mauro Firmani mi fece conoscere l’organizzatore della Alpe Marathon, Mario Blatto.
Questo signore, dai modi gentili e molto coinvolgente nel raccontare la “sua creatura” , mi fece promettere che sarei andato a Chatillon per correre la sua gara. Son trascorsi dei mesi, tanti chilometri sono scivolati sotto le mie scarpe e molte gare ho portato a termine, però non potevo mancare, anche se stanco dall’UltraBalaton della settimana prima, dovevo essere in Valle d’Aosta. Così è stato.
Nell’ultimo periodo, guardando il sito della manifestazione e vedendo le foto, mi sono innamorato dei posti attraverso i quali passavano i percorsi delle varie gare che componevano la kermesse.
Paesaggi mozzafiato, ruscelli, ponti di legno, facevano da corollario ad una natura che, con i suoi colori e i suoi aromi, ci ha inebriato per 42,195 km. Il tutto, unito ad un’organizzazione pressoché perfetta, ha fatto, di questo fine settimana, una mini vacanza da ricordare a lungo.
Sono arrivato a Chatillon al venerdì sera e dopo una cena tipica valdostana sono andato in albergo. La mattina dopo, recatomi al centro maratona per ritirare il pettorale, ho poi finito per dare una mano agli amici dell’associazione “La Via della Felicità” a montare il gazebo che servirà poi per la distribuzione dei famosi, ormai, libricini omonimi.
La mattinata praticamente l’ho trascorsa tutta lì, tra gli amici che arrivavano ed il lavoro dei volontari che s’intensificava sempre di più per fare in modo che gli atleti non avessero tante perdite di tempo.
Ho trovato anche il modo di fermarmi a parlare un quarto d’ora con un commosso e commovente Mario Blatto che, con le lacrime agli occhi, spiegandomi tutti i particolari, tutte le sottigliezze, mi ringraziava per aver tenuto fede alla mia promessa. Il tempo passa tranquillamente e, dopo un bel pranzo, vado in un centro benessere a regalarmi un bel pomeriggio tra piscina, sauna, bagno turco e quant’altro. Cena e poi albergo.
Sveglia domenica mattina presto, perché la gara parte alle sette e trenta. Un cielo plumbeo ammanta le vette che ci circondano e che il giorno prima galleggiavano in uno splendido azzurro. Ci rechiamo alla partenza, e con gli amici Mauro e Danilo decidiamo di fare gara insieme. Gara è un eufemismo perché, con la scusa di un malessere di Mauro e della mia stanchezza dovuta ai 212km corsi la settimana prima in Ungheria, decidiamo di andare quasi di passo, godendo di tutto quello che ci circondava. Così, con le macchine fotografiche nei marsupi, abbiamo potuto fermare tutto quello che di bello i nostri occhi riuscivano a catturare. Solo io avrò scattato più di centocinquanta foto.
La corsa parte in orario, si esce quasi subito dal centro e si va su per sentieri. Il percorso, ottimamente segnato, è a prova d’errore, impossibile sbagliarsi anche se qualcuno... Inizia a piovere presto, ma a noi sembra non importare tanto. Qualche salita ripida, qualche borgo caratteristico e pian piano le ore trascorrono nella più totale pace.
Mulattiere s’alternano a sentieri sui prati, la visione delle montagne circostanti ed il verso di tanti animali ci fanno compagnia, non ci fanno sentire la fatica del vario alternarsi dell’altimetria e allietano il nostro tranquillo andare turistico. Ristori ben forniti e gentilezza dei volontari incontrati ci rassicureranno lungo la strada. Incontriamo tanti amici durante il tragitto, tra cui Fausto - il notissimo Sir Marathon – che, raccontandoci aneddoti di alcune gare, ancora piange al ricordo (ricordo che ne ha corse oltre 560).
Un pò d’asfalto sotto i piedi ogni tanto c’è, ma poi subito verde, tanto verde. Bovini che pascolano lungo i sentieri e tantissime varietà di alberi mi fanno sentire come in una favola. Iniziamo a scendere e vediamo da lontanissimo St Vincent. Con tutta tranquillità approcciamo anche alla cittadina del casinò. Un passaggio in centro dove ci fermiamo perché lo speaker ci fa una mini-intervista e poi ancora qualche chilometro e siamo al traguardo, dove arriveremo felicissimi mostrando la nostra bandiera tricolore.
Cosa dire... Tutto bello, tutto fantastico. Se volete trascorrere un fine settimana di gare senza lo stress del crono e volete ritrovare un pò voi stessi, recatevi tranquillamente a Chatillon l’anno prossimo. Il pacco gara era ben fornito di alimenti tipici valdostani di alta qualità, forse le docce erano un pò piccole e magari, dopo i ristori, qualche raccoglitore per bicchieri in più ci poteva stare in modo da togliere ogni alibi alla inciviltà di qualcuno che ancora si ostina a deturpare l’ambiente. Vorrei ringraziare i miei due compagni di “viaggio” Danilo e Mauro con una mensione speciale per quest’ultimo che raccoglieva i segni dell’inciviltà di qualcuno e li lasciava ai ristori.
Grazie ancora a Mario Blatto, l’organizzatore, che ci ha accolto come meglio non si potesse. Voglio raccontare un aneddoto: A fine gara, quando gli ho detto che il percorso mi sembrava più lungo, è rimasto lì a spiegarmi come ha misurato il percorso e tutte le correzioni fatte per avere la distanza canonica della maratona.
venerdì 15 giugno 2012
Milano,Parco Sempione: Campionato Italiano 24 ore 2012.
Anche Ciro Di Palma c’era: non per partecipare ad una delle due ultramaratone in programma (tra l’altro, essendo nell’imminenza di una altro imminente appuntamento ultra-podistico – il Giro del Lago Balaton in Ungheria). Ciro é stato presente con grande senso di solidarietà sportiva per tutta la durata della manifestazione, pur correndo solo una frazione della gara a staffetta.
Quello che segue è il suo resoconto sulla manifestazione, di cui illustra i tantissimi aspetti positivi, non rinunciando ad esprimere tuttavia qualche notazione critica ai fini di un miglioramento della gara, in vista di una possibile assegnazione del Mondiale 24 ore, forse nel 2015.
Ecco il suo articolo.
(Ciro Di Palma) Dopo la catastrofe sismica che il nostro paese ha subito in questi giorni, era obiettivamente difficile organizzare una gara come il Campionato italiano 24 ore, arricchito da una 6 Ore e da una staffetta 24x 1ora (MilanoXTutti). Non era facile, ripeto, da due diversi punti di vista: Il primo logistico e il secondo economico.
Allestire una manifestazione del genere, vuol dire dotarsi di infrastrutture mobili come tende, avere a disposizione tanti lettini o brande per far riposare gli atleti durante la notte o quando la stanchezza inizia a far capolino, disporre di molti volontari che gestiscono i ristori e, all’occorrenza, in determinati orari, forniscono dei pasti caldi. Purtroppo e giustamente gran parte di tutto ciò è stato convogliato nelle zone di maggior bisogno e, per far fronte a questo drammatico imprevisto, gli amici meneghini hanno dovuto dare il meglio di se stessi affinché tutto andasse per il giusto verso.
Alla fine non ho sentito uno di noi che si lamentasse di qualcosa ed eravamo tutti contenti.
E’ stata approntata una kermesse minimal, ma l’impegno mostrato dal Road Runners Club Milano è stato, ripeto, encomiabile. Certo, una critica o forse più di una gli va pure mossa, ma sempre nell’ambito di un futuro miglioramento stante la loro volontà di preparare un Campionato del Mondo della 24 ore nel prossimo futuro [probabilmente nel 2015].
Una cosa da rivedere è sicuramente il percorso, troppo stretto per ospitare tanti atleti e un pò pericoloso, se, come nel caso di sabato, sul tracciato gareggiano podisti che girano a velocità diverse per la presenza di tre gare in una sola manifestazione.
Tracciato poco scorrevole nella parte interna al parco, presenza di curve secche e di rapidi cambi di superficie. Secondo me si potrebbe trovare qualcosa di meglio [o comunque studiare delle varianti - M.Crispi].
Un’altra cosa sbagliata – a mio avviso - è stata quella di proporre un Campionato italiano a giugno [ma sono state esigenze di calendario, più che altro, anche se in linea generale non si può che essere concordi con Ciro, aggiungendo come correttivo che, in genere, la valutazione si fa più che sulla singola prestazione, sulla carriera e sull'evoluzione del singolo atleta - M.Crispi], quando per un atleta desideroso di realizzare una prestazione di rilievo era fine aprile il limite di tempo per presentare un certo risultato alla Federazione per essere preso in considerazione dalla Nazionale per i mondiali di settembre.
Come me, tantissimi altri amici, hanno “snobbato” la corsa lombarda per questo motivo ed hanno virato su altre manifestazioni. Vedere solo un manipolo, seppur qualificato, di atleti alla partenza ha dato meno lustro agli organizzatori.
Certo, poi, c’è stata la gara delle 6 ore e della staffetta a rimpolpare, “drogando” i numeri però, se contiamo i partecipanti che lottavano per il titolo nazionale, non è che ci sia stata un’invasione (meno di 30 i partenti). Peccato.
Si potrà parlare di calendario saturo, ma credo che qualche accordo si sarebbe potuto e dovuto trovare in virtù dello status della gara.
Sono giunto al parco Sempione di Milano circa un’ora prima della gara e l’atmosfera era quasi surreale.
Poca gente, ancora quasi tutto in allestimento e molto ancora da mettere a posto.
Ad un certo punto mi sono anche chiesto se non avessi sbagliato il posto di ritrovo e il punto di partenza.
A poco a poco, tutto però è stato messo in ordine ed è arrivato l’orario dello start.
La gara è partita con un tiepido sole e ha visto subito la fuga di Daniele Baranzini per gli uomini.
Molto concentrato e sicuro di sé va è andato avanti col suo passo anche bello da vedere, mentre tra le donne una splendida Ilaria Fossati ha preso la la testa della gara.
Man mano che le ore trascorrevano, le condizioni meteo andavano peggiorando e durante la notte (a partire dalle 21.30 circa) un vero nubifragio s'è abbattuto nei pressi dell’Arena Civica rendendo molto più difficile la corsa degli atleti già provati dalle tante ore di corsa. La gara femminile vivrà di tante emozioni, la Fossati si ritirerà per un problema ed in seguito prenderà la leadership della gara una sempre sorridente Rossella Verzeletti, all’esordio sulla distanza.
La classifica finale femminile sarà: Verzeletti, Ardau e Agostini.
La gara maschile, invece, vedrà il sorpasso di Paolo Rovera nelle ultime ore di gara ai danni di un provato Baranzini, alla fine secondo, e poi una splendida terza posizione da parte di Stefano Montagner.
Dispiace che dei problemi abbiano privato la gara di uno protagonisti della vigilia, Vito Intini, forte atleta pugliese.
Una gara spettacolare è stata anche la 6 ore che, partita nel pomeriggio, ha dato vita ad uno splendido testa a testa tra Capponi, Ascoli e Bonfanti per la prova maschile, mentre in quella femminile una splendida Ilaria Marchesi ha avuto la meglio sulla francese Hyvernaud e sulla Aiazzi.
Molto bello e toccante è stato quando alla premiazione la Marchesi si è presentata con la bandiera di Crevalcore, la sua terra, uno dei posti più maltrattati dal terremoto.
E’ stato questo il modo di far sapere a tutti che Crevalcore c’è e ci sarà e noi tutti insieme a loro.
In questa festa dell’ultramaratona lombarda c’era anche la gara della staffetta 24 x 1ora.
Cinque squadre composte da ventiquattro atleti che si davano il cambio ogni ora.
I team erano le associazioni onlus: La Via della Felicità, Vivi down e il Tapa Team del dott. Sorriso.
Le altre due squadre erano Gazzetta Runners Club e Road Runners Club Milano.
Molto bello è stato il lavoro svolto dai volontari dell’associazione La Via della Felicità che durante la manifestazione hanno distribuito al pubblico e agli atleti presenti l’ormai noto opuscolo “La Via della Felicità”, il codice morale laico scritto da Ron Hubbard, che viene utilizzato ormai in tutto il mondo per sensibilizzare la società a fermare quel declino morale che ogni giorno viviamo.
Una guida per una vita migliore che anche io ho deciso di utilizzare da qualche mese.
La cosa che mi ha fatto enormemente piacere che l’intera manifestazione sia stata all’insegna della solidarietà e che sia servita per divulgare un messaggio positivo.
Io ho partecipato alla staffetta entrando in gara alla terza ora, ho corso un pò più di una quindicina di chilometri e mi sono divertito tantissimo.
Dopo sono rimasto per tutta la durata della manifestazione al parco ad incitare tutti gli amici che erano in gara e che vedevo soffrire. Facevo il tifo per tutti e non poteva essere altrimenti essendo io uno di loro. Sapevo quello cosa stavano provando in quei momenti, leggevo i loro pensieri, li guardavo dentro, m’immedesimavo nella loro corsa, la mia anima era lì che correva con loro che sono i miei avversari di sempre quando gareggio.
Avversari per modo di dire, perché tra di noi c’è amicizia, quella che mi ha portato ad esultare per una probabile convocazione in nazionale di uno di loro e che mi ha fatto emozionare quando ho visto il pianto finale di Baranzini.
Credo che il segreto della bellezza dell’ultramaratona sia proprio in questo, nel sentimento di amicizia che lega gli atleti ed il sapere che nel caso di bisogno si possa sempre contare sull’aiuto di un altro.
Un altro aspetto che in questi due giorni mi ha arricchito tantissimo è stato il parlare con tante persone che mi chiedevano delle mie gare.
E’ sempre bello sapere che tanti ti seguono e leggono interessate quello che scrivi. Incontrare e poi anche confrontarmi dialetticamente con persone come Maurizio Crispi, fine intenditore di corse ultra, e Gregorio Zucchinali, presidente IUTA, è stato per me la ciliegina sulla torta.
Una menzione particolare e speciale va al Mitico Marco Airaghi conosciuto nell’ambiente come il Capitano Scatenato.
Con la sua presenza ha dato un tocco di colore e di calore umano in più a tutto l’ambiente. Un grazie va agli organizzatori, i Road Runners Club Milano, anche se devono migliorare alcuni aspetti per poter ambire all’assegnazione del mondiale.
lunedì 11 giugno 2012
Il senso dell'Ultramaratona...
Mai inserisco nel blog articoli che non siano i miei ma quando una persona seria e competente come il dott. Maurizio Crispi mi ha regalato l'onore di essere citato in un Suo scritto,non posso che pubblicare il link che lo contiene. Grazie Maurizio Crispi.
Nel dopo-gara della Milano24, il grande Ciro Di Palma, mentre si parlava del più del meno, ha fatto - per far capire il senso della corsa sulle ultra-distanze ad un "laico" dell'ultramaratona che gli aveva chiesto, "Ma come si fa a correre per tanto tempo di seguito?" -, questa riflessione che voglio condividere, perché è arguta e profondamente significativa.
Ciro ha detto: "E' come quando c'è una donna di cui sei innamorato follemente. Faresti di tutto per arrivare sino a lei. E niente ti può distogliere - quando è così - dall'obiettivo che vorresti raggiungere con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze.
Correre un'ultramaratona, se sei animato dalla passione per questa tipo di corsa, è esattamente la stessa cosa. Non è che si sia dei masochisti e dei cultori della stolida fatica fine a se stessa. Si tratta di una cosa ben più profonda: si è innamorati di quello che si fa e si vuole arrivare sino in fondo, come quando si farebbe di tutto per arrivare alla donna di cui si è innamorati e si vuole con tutte le proprie forze (e con tutto il proprio cuore): e può solo essere quella e soltanto quella (non ci possono essere sostituti).
Se non c'è questo ad animare un ultramaratoneta (o aspirante tale), difficilmente potrà sopportare la fatica necessaria per arrivare sino al traguardo".
Correre un'ultramaratona - a qualsiasi livello - richiede forza (inclusa la preparazione tecnica) e cuore, ma soprattutto passione: questo è il messaggio che Ciro con la sua arguzia e con la sua vitalità tutta campana e partenopea ha comunicato al suo interlocutore e che io ho voluto trasmettere ai miei lettori.
Senza cuore e senza passione nelle faccende sentimentali, come nelle ultramaratone, non si va da nessuna parte.
L'ultramaratona (in qualsiasi sua specialità) è richiedente ed impegnativa: ti impone di esserci con tutta la tua testa, con il tuo cuore e con la tua passione, senza mezzi termini. O ci sei tutto, oppure non ci sei per niente.
venerdì 1 giugno 2012
40^ edizione della 100 km del Passatore : Un viaggio dentro di me...
Il Passatore è la storia della 100km, il Passatore è la 100km. Da qui sono passati i grandi, tutti hanno dato e tutti hanno ricevuto da questo cammino attraverso l’Appennino tosco-emiliano che vide le scorribande di tal Stefano Pelloni, meglio conosciuto come Passator Cortese, di cui anche Giovanni Pascoli scrisse. Si sono vissute tante storie, tutte diverse ma con un comune denominatore: La gioia nel tagliare il traguardo a Faenza.
Abbiamo abbracciato l’epopea del grande Calcaterra, visto la leggerezza della Carlin, il volare di Fattore, la potenza della Casiraghi, la saga dei russi e poi ancora Sonia Ceretto, Paola Sanna, il grande Ardemagni, Maria Luisa Costetti, Sartori ed il mito brasiliano Valmir Nunez. Quest’ultimo, ritornato l’anno scorso per festeggiare il ventennale della sua prima vittoria, è arrivato in Romagna in lacrime. Se un uomo, un atleta, un grandissimo atleta come il santista, che ha vinto tra le altre gare la Spartathlon e la Badwater ultramarathon, arriva in piazza del Popolo piangendo, un motivo ci deve pur essere e questo si chiama:100 km del Passatore.
Ho citato dei campionissimi ma questa è anche la corsa di tutti: Degli atleti normali, di chi è alla ricerca di un’emozione, di chi spera di trovare la pace dentro di sé, oppure di chi comunque vuole dimostrare qualcosa a qualcuno o a se stesso.
Quest’anno più di duemila persone si sono radunate a Firenze per la quarantesima edizione di questa 100 km ed a questo punto mi chiedo se è il Passator Cortese che col suo richiamo cerca di sopravvivere dentro ognuno dei partecipanti, oppure se sono gli atleti che giungono e vogliono immedesimarsi nel Pelloni.
Firenze, già piena di turisti, vede già dal mattino presto tutti questi atleti colorati e i loro accompagnatori, li accoglie in grembo e gli mostra le sue grazie. I dialetti si vanno a mescolare alle lingue dei tanti visitatori che guardano divertiti e tutt’intorno un’armonia di suoni echeggia facendo dimenticare il tempo che passa lentamente con qualche goccia di pioggia.
Si vede mezz’ora prima della partenza un campione come Giorgio Calcaterra iniziare il suo riscaldamento, ma subito fermato dal mondo intero che cerca un autografo e magari una foto per immortalare il momento. Lui, con la squisitezza e l’educazione che lo contraddistinguono, non si nega a nessuno ed ha sempre un sorriso per tutti: Fantastico!
Io sono giunto a Firenze in mattinata, ho raggiunto gli amici dell’associazione “La Via della Felicità” di cui sono testimonial e, mentre loro distribuivano, gratis, i libricini con i ventuno precetti per un buon vivere (alla fine tra Firenze e Faenza ne saranno stati distribuiti circa cinquemilacinquecento), illustravo agli amici che mi raggiungevano quale fosse il segnale che cercavamo di dare.
Sono andato dopo un pò a ritirare il pettorale e, a dir la verità, qualcosa di meglio si poteva organizzare visto l’elevato numero di partecipanti. Verso le 13.30 ho iniziato a girovagare per le stradine antistanti via dei Calzaiuoli cercando la tranquillità ma questa rimaneva una chimera perché, anche con immenso piacere, si materializzavano tantissimi amici che leggono i miei articoli e mi seguono sui social network. E’ stata tutta una festa,uno scattare di foto interminabile, un divertimento assoluto.
Alle 14.50 ormai siamo tutti li, sotto lo striscione della partenza, ci si rende conto che l’avventura sta per iniziare, qualcuno prega, altri ascoltano musica. Le autorità cittadine ci danno il loro saluto e tre, due, uno... si parte.
Ognuno col suo ritmo, ognuno col proprio modo di correre. Io, come sempre in questo tipo di gare, che svolgo come allenamento per altre più lunghe, corro ad un ritmo tranquillo e chiacchiero con tutti. Il mio sguardo presto si posa sullo spettacolo che da Fiesole si gode guardando verso la città.
Mi fermo a tutti i ristori e riparto molto tranquillamente. Dato il mio incedere non velocissimo, tanti amici mi sopravanzano, ma i chilometri passano anche per me. Il tempo scorre ed arriviamo a Borgo San Lorenzo, il passaggio al traguardo volante mi vede felice e sorridente con la mia amica interista Rossella mostrare insieme una bandiera nerazzurra tra l’ilarità degli astanti e la gioia dei fotografi.
Ancora un pò e poi s’inizia a salire verso il passo della Colla, cima Coppi della gara. La corsa si alterna a brevi tratti di passo e così fino al quarantottesimo chilometro. Lì una festa ci aspetta, tantissimi spettatori applaudono, tanti clacson suonano. Mi fermo un pò per il ristoro ed il cambio indumenti.
Dopo una decina di minuti riprendo il mio passo verso Marradi, ci sono da correre una quindicina di chilometri e vengono superati con molta facilità. Prossima tappa San Cassiano e poi Brisighella.
Il buio ha sopraffatto la luce, la notte ha inghiottito il giorno e la stanchezza inizia a prendere il sopravvento sulla freschezza. Le luci dei paesi lontani, le lucciole e qualche animale non meglio identificato sono i compagni di strada di tutti noi, ormai assorti nei nostri pensieri. I bagliori prima lontani e poi vicini dei borghi, insieme al calore dei volontari ai ristori, sono come manna scesa dal cielo per noi. Ci danno coraggio, ci incitano e ci fanno capire che siamo anche noi i protagonisti.
Accuso leggermente la stanchezza, non fisica, ma mentale. Un grave lutto, due giorni prima, aveva messo in discussione la mia gara. Questo pensiero, il buio e la solitudine mi stavano facendo camminare un pò. All’improvviso però, giunge dalle retrovie, Luisa, una toscana con un carattere molto tosto dietro quella sua faccia d’angelo. Mi chiede di correre un con lei... Inizio a farlo e poi, come m’accade sempre, comincio a stare bene e dopo qualche chilometro non reggendo più il mio passo, mi sprona ad andare.
Ormai mancano diciotto chilometri e vedo solo Faenza. Come lo squalo col sangue, così io col traguardo... Arrivo ad un chilometro dalla piazza, cinquecento metri e si materializza la figura del grande Emiliano che insieme a Simonetta ha seguito gli amici lungo il percorso, si complimenta e vado a tagliare il traguardo guardando il cielo, dedicando questa mia gara alla mia cara nonna che ha deciso di correre verso lidi più tranquilli proprio all’antivigilia della partenza.
Ristoro tranquillo e complimenti agli amici che sono arrivati prima di me. Una delle cose più belle è stata quando mi ha raggiunto la moglie di Max che, felicissima e con una lacrima che le solcava il viso, mi ringraziava perché il marito aveva fatto una splendida gara, avendo dato ascolto a qualche mio piccolo consiglio.
In pullmino verso la palestra, doccia e un bel sonno rigenerante fino al mattino quando Massimo, al settimo cielo, mi raggiungeva e mi ringraziava per quello che avevo fatto per lui, dimenticando forse che a correre fosse stata la sua persona. Anche la prima parte della giornata con le premiazioni e la distribuzione degli altri opuscoli de La Via della Felicità passava tranquillamente, poi un sereno ritorno a casa.
Qualcuno vuol sapere il crono finale? Per me è poco indicativo perché giudico la gara dal grado di piacere che provo nel correrla, comunque 10 ore e venticinque minuti. Un tempo alto? No, un buon allenamento e tanta felicità.
Vorrei ringraziare tutti quelli che rendono questa gara speciale, dagli organizzatori ai volontari, da chi sfida la notte per regalarci un applauso a chi monta dei ristori non ufficiali ma comunque pieni di leccornie, dagli atleti ai loro accompagnatori, anche se qualche volta anzi spesso sono indisciplinati e mettono a repentaglio l’incolumità altrui,andrebbero perlomeno disciplinati.
Forse il troppo smog e la poca scorrevolezza nel ritiro dei pettorali le altre piccole pecche.