giovedì 15 dicembre 2011

Tanti elogi e piccole critiche alla 16^ Maratona di Reggio Emilia.

Domenica 11 dicembre, ore 15.00, chiude il sipario sulla 16^ Maratona di Reggio Emilia “Citta del Tricolore”. Un’edizione record che con i suoi numeri ha premiato l’organizzazione presieduta dall’amico Paolo Manelli. Una maratona, quella reggiana, che, cresciuta costantemente negli anni, è diventata un punto di riferimento per tutti gli atleti, vista la qualità dei servizi offerti e la bellezza del percorso. Un buon motivo anche per i loro accompagnatori per trascorrere un bel fine settimana in una bella città come Reggio Emilia.
Un plauso particolare va a chi pensò, tempo fa, d’inserire nel programma maratona delle visite guidate alla città che fu del primo Tricolore , col triplice intento di mostrarne le bellezze, allietare il soggiorno ed arricchire culturalmente i partecipanti, non dimenticando che tutto questo è offerto gratis.
Parlare bene della Maratona di Reggio Emilia è come parlare dell’ovvio, si sfonda una porta aperta, insomma è bella e basta! Proprio perché si è arrivati a questo punto, però, si devono fare alcune considerazioni e delle critiche costruttive affinché l’evento con l’andare del tempo diventi veramente una perla unica nel fantastico, ma mal gestito, mondo delle maratone in Italia. La mia non vuole essere una voce stonata nel coro ma solo una nota che si fa sentire in una melodia.
Ormai credo sia giunta l’ora di chiudere le iscrizioni ad un certo numero di partecipanti, magari 2800, dico questo perché con l’attuale percorso, che prevede nei primi chilometri due giri nel centro, anche giusti perché la corsa deve anche omaggiare la città che la ospita, ci sono degli enormi problemi dovuti ai cambi di direzione secchi che provocano, vista la marea dei partecipanti e la sede stradale stretta e umida, delle cadute anche serie da parte degli atleti. Penso che se dopo la partenza da corso Garibaldi, una volta imboccata la via Emilia e Viale Monte Grappa si andasse direttamente fuori, verso la collina, sarebbe meglio. Il fiume di atleti potrebbe esondare così nelle strade più larghe e comode della periferia e poi, una volta esaurita la sua foga, essere incanalato nel centro cittadino. Ci sarebbero così meno possibilità d’incidenti e più tranquillità per godersi il salotto bello di Reggio Emilia. Sicuramente ci sarebbe da lottare con i commercianti, con i permessi in Comune, però bisogna far capire a queste persone che questo evento è anche un’occasione per loro. Un altro particolare da migliorare è sicuramente il flusso di persone che entrano ed escono dal palazzetto dello sport al sabato sera e alla domenica mattina. Il palaBigi, ottima location per deposito borse, docce, stand e vicinanza dal punto di partenza/arrivo gara mostra delle crepe dal punto di vista dello scorrimento delle persone al suo interno. Perché allora non sfruttare un’altra uscita della struttura convogliando il “traffico umano” in varie direzioni? Ancora altri due piccolissimi dettagli da migliorare legati al fine gara sono: Un atleta che taglia il traguardo dopo cinque ore e mezzo-sei non può non trovare la medaglia (anche se questa arriverà a casa sicuramente quanto prima e su questo sono pronto a mettere la mano sul fuoco) e non può arrivare trovando intorno a lui gli operai che stanno già smontando le transenne ed i banchi dove sono appoggiati i teli già messi uno sull’altro pronti per essere portati via… Tutto ciò non è elegante e sembra come se si dicesse: “Dai aspettiamo te per chiudere, fai presto”, ciò non mi piace. Tutti, dal primo all’ultimo dei finisher, devono avere un degno arrivo.
Certo, queste piccole lacune che ho citato sono delle gocce che si perdono in un oceano dove ci sono: La gentilezza di Paolo Manelli quando mi sono iscritto, il sorriso di Cinzia quando ho preso il pacco gara, il ritiro velocissimo del pettorale, il caloroso incoraggiamento che abbiamo avuto ai fornitissimi e favolosi ristori gestiti dalle società podistiche, la simpatia dei volontari, il percorso completamente chiuso al traffico, il pantagruelico ristoro del dopogara, i bagni chimici lungo il percorso, le facce, le emozioni, le espressioni, i pianti, i sorrisi dei maratoneti che arrivavano, i loro commenti entusiasti nell’immediato dopogara, gli speaker Michele Marescalchi e Roberto Brighenti. Una parola d’elogio allo stoico Roby, sempre li sul palco dalle prime ore del mattino fino a quando anche l’ultimo degli atleti è arrivato a tagliare il traguardo, sempre pronto con la sua verve a tributare a tutti gli onori che gli spettavano.
Non voglio parlare della mia gara perché dovendo fare solo un allenamento lento, l’ho interpretata in quanto tale. Mi son fermato a tutti i ristori complimentandomi con i volontari, ho salutato i tantissimi amici e conoscenti sparsi lungo il percorso di gara, ho chiacchierato con altri atleti, insomma ho svolto un bell’allenamento in compagnia, cercando solo di restare nei limiti di tempo che mi ero prefissato e cioè 3h10’/3h15’.
Per concludere, il mio grazie come al solito va agli organizzatori e ai volontari che tanto si sono adoperati per noi e, mai come questa volta, vorrei estenderlo anche ai fotografi non professionisti che lungo il percorso immortalano le nostre gesta mettendo poi a disposizione e gratis i loro scatti sui siti podistici. Non posso però non ricordare, ringraziandoli, tutti gli atleti, tutti gli amici che sono venuti a Reggio Emilia in questo week-end di fine autunno e che hanno colorato simpaticamente la città rendendola più viva e calda. Credo, infine, una cosa: In altre città dove si va a correre, lo si fa per aggiungere una gara al nostro curriculum sportivo, a Reggio Emilia, invece, lo facciamo perché la corsa ce la fanno sentire nostra.
Tra i tanti amici che ho avuto il piacere d’incontrare ne vorrei menzionare uno su tutti: Simone Leo, non è un top runner ma un Campione nella vita di tutti i giorni. Con l’Associazione “Dico no alla droga” combatte contro la disinformazione, la confusione e le leggende metropolitane che ci sono a riguardo dell’uso di certe sostanze e lo fa attraverso la prevenzione, parlando ai giovani e non solo. Mi piaceva ricordarlo.

venerdì 18 novembre 2011

25^ Turin Marathon: Bella ma con dettagli da migliorare.

Un successo con alcuni dettagli da migliorare: Non ho altre parole per descrivere la venticinquesima Turin Marathon. Un’edizione che ha visto una partecipazione record ed un numero di finisher superiore rispetto all’anno precedente di ben 582 atleti. Di tutto ciò si deve ringraziare il sig. Chiabrera che, avvalendosi della collaborazione di persone competenti, ha costituito un’efficiente ed eccellente macchina organizzativa la quale, lavorando in modo certosino ed indefesso, ha allestito un’ottima manifestazione. Torino, già dal giorno precedente la gara, è stata invasa da podisti di tutte le età e di tutte le ”velocità”; infatti, non solo la maratona, ma anche la StraTorino e la Junior marathon prendevano il via dal centro dalla città piemontese.
L’ex capitale d’Italia, nella sua veste austera ha mostrato le proprie bellezze e si è ripresa, almeno per un fine settimana, il vecchio scettro ponendosi meritatamente al centro dell’attenzione. Musica, tanta allegria e cordialità, insieme alla conferma che Torino è una città molto sottovalutata dai più, hanno reso questo week-end fantastico. Sono giunto, infatti, nel capoluogo sabaudo nella giornata di sabato, ho fatto un giro in città sotto i portici medioevali e poi mi son recato al centro maratona in piazza Castello, luogo che vedrà anche la partenza ed il traguardo della gara l’indomani mattina. Tutto molto veloce e tranquillo, il ritiro del pacco gara (molto bello lo zainetto) e la visita agli stand. La cordialità degli addetti e la simpatia degli atleti che arrivavano rendevano il pomeriggio ancora più piacevole. All’imbrunire, il pasta party, allietato dalla musica, allestito in piazza San Carlo, forse visto l’orario ed il periodo poteva essere gestito logisticamente in modo diverso. La sera del sabato l’ho trascorsa in allegria col gruppo dei pacer, al quale va un plauso particolare perché il plotone “pilotato” da Mauro Firmani ha colorato allegramente ed in modo simpatico la città svolgendo alla grande il suo dovere: Ben 29 dei 30 pacer, infatti, sono arrivati in perfetto orario al traguardo tra i ringraziamenti dei tanti atleti che grazie ai ”palloncini” hanno visto premiati i loro sforzi e coronati i loro sogni. A cena, in albergo, si è unito a noi anche quel campione di Giorgio Calcaterra, sempre pronto a dare un parola d’incoraggiamento a tutti coloro che ne avevano bisogno e mai stanco di fermarsi con chi gli chiedeva una foto o quant’altro. Lui, prima di tutto una brava persona e poi un grandissimo atleta, insieme a Ivan Cudin, altro fulgido esempio di lealtà e semplicità ,sono gli esempi da seguire in uno sport sempre meno vissuto sul “campo”, mal proposto in tv, sottovalutato dalla carta stampata e urlato su alcuni siti.
Domenica mattina, un cielo azzurro ed clima frizzante hanno avvolto gli atleti, mentre le note dell’inno nazionale cantato da Arianna Bergamaschi echeggiavano e volteggiavano nell’aria, caricando ancora di più tutti quanti. L’assenza, però, delle “griglie” alla partenza ha scontentato più di qualche partecipante, sono convinto che gli amici di Torino sapranno porre rimedio anche a questo neo. Alle nove e trenta, la gara è partita e il fiume di persone ha inondato le strade ed i viali della città. Io mi divertivo a salutare gli amici che mi passavano ed intanto procedevo con tranquillità assoluta con i pacer delle tre ore e trenta ai quali avevo promesso di dare una mano. Tutto bello fino al quattordicesimo chilometro, quando all’angolo di via Stupinigi, l’amico Paolo, coperto da altri atleti, non ha visto, una ringhiera che separava la sede stradale dal tratto pedonale e l’ha urtata violentemente procurandosi un grosso ematoma all’altezza del torace stramazzando a terra con problemi di respirazione. Il prossimo anno spero che provvedano a segnalare in modo vistoso questo ostacolo, perché la gara in quel punto è ancora all’inizio, il plotone è compatto e la scena potrebbe ripetersi. Vedendo l’accaduto non ho esitato a fermarmi e a prestare soccorso. Le persone che avevano assistito alla scena dai balconi delle loro case ci hanno aiutato tantissimo dandoci una coperta, del ghiaccio e proponendosi di accompagnare l’infortunato in ospedale Un grazie di cuore. Intanto la corsa passava disinteressandosi di quello che accadeva, solo un altro atleta si fermava a prestare soccorso… Il tempo passava e dopo quasi sette minuti è arrivata una volontaria della Croce Rossa che si è presa cura dell’incidentato e mi ha detto che potevo andare. A questo punto, però, avevo accumulato un discreto ritardo rispetto ai “palloncini” con i quali dovevo collaborare. Un rapido conteggio dei tempi e calcolo che correndo mediamente a 4’15” al km li avrei raggiunti in 11km. Così tra lo stupore di tutti, correvano a 6’00” al km, e le urla di scherno: “Ma dove vai?  Così al traguardo non arrivi…”, “Se sei così veloce, come mai sei così indietro, rallenta e ascolta i consigli”, iniziavo la rimonta. Li ascoltavo e dentro di me ridevo come un pazzo. Un pò prima del venticinquesimo km vedevo coronato il mio tranquillo inseguimento. Tutti mi chiedevano dell’accaduto: “Cavolo, credevo fosse passato inosservato...!”.
Da lì in poi, fino al traguardo, è stato tutto molto divertente, procedevamo ad un ritmo costante, io spronavo un pò tutti quelli che ci seguivano e tutti quelli che, ormai sfiniti, “raccoglievamo” per strada. Prima dei ristori, allungavo il passo e prendevo quattro, cinque bottigliette d’acqua per distribuirle al gruppo in modo che non rallentasse il suo incedere. Anche sui ristori ci sarebbe da dire qualcosa, questa volta però agli atleti. Il solito mare di plastica sull’asfalto, il solito menefreghismo di tanti, molti, partecipanti. Ma è così difficile essere educati e dotarsi di senso civico? Tantissimi avevano anche il pettorale col quale partecipavano alla campagna del correre pulito, del correre verde. Ipocriti! Andrebbero squalificati senza appello, che pena mi fanno! Ho notato un grandissimo spreco d’acqua, sicuramente le bottigliette sono meglio dei bicchieri che si rovesciano sul tavolo ma, gran parte del loro contenuto va perso inutilmente, allora in commercio ci sono dei bicchieri con acqua sigillati e sono un pò più grandi di quelli che normalmente si vedono sui tavoli ai ristori, contengono una quantità di liquido che è la via di mezzo tra le soluzioni che generalmente si adottano e sono pure comodi da tenere in mano.
Ritornando alla gara, dopo il lunghissimo corso Francia. si arriva in città, ormai i giochi sono fatti, incito ancora di più gli amici, il traguardo è lì, distante trecento cinquanta metri, ormai hanno le ali ai piedi, il mio bandierone nerazzurro già sventola da qualche chilometro su Torino e non vi dico i commenti. Arriviamo al traguardo in perfetto orario: Tre ore, ventinove minuti e quarantadue secondi. Un bacio alla gentile signora che mi mette al collo la medaglia e, subito dopo, un ristoro spartano dove comunque c’era l’indispensabile e senza sprechi di cibo. Molto veloce la raccolta borse e poi una bella doccia calda. Molto indovinata la location del fine gara, la piazza adiacente al palazzo Reale si è mostrata perfetta per i servizi che doveva fornire. Una bella maratona, una giornata fantastica e qualcosa da migliorare. Forza Turin Marathon, sono convinto che l’anno prossimo saprai fare ancora meglio.
Ho iniziato facendo i complimenti a Chiabrera, vertice dell’organizzazione. ma non dimentico di ringraziare e congratularmi con Marco Ronco, gli amici della cascina della Marchesa (sede Turin Marathon): Simone, Irene, Alessandra, Chiara, Alessandro, ancora poi un plauso a Mauro Firmani che ha gestito i pacer e gli ambasciatori della Turin Marathon, un grazie va pure a tutti i volontari, che con la loro preziosissima opera hanno fatto in modo che tutto si svolgesse in modo fluido. Se ho dimenticato qualcuno chiedo scusa. Volete sapere chi sono, se il nome non vi dice niente? Sono quello che corre con la bandiera dell’Inter…

giovedì 13 ottobre 2011

Campionato Italiano Fidal 24 ore Fano : ...Una bella esperienza.

Il fine settimana scorso ha visto correre, nella bella cittadina marchigiana di Fano, il campionato italiano Fidal della 24 ore. Un evento da me preparato scrupolosamente curando oltre che l’aspetto fisico e mentale, anche particolari come l’alimentazione, i ristori, i cambi vestiario e tutto quello che una gara del genere prevede. Tutto fatto con molta cura essendo, questa manifestazione, uno dei miei tre obiettivi stagionali, dopo la 100km di Seregno e la Nove colli running. A questa gara, però, tenevo particolarmente per vari motivi. Il primo è perché l’avevo voluta correre fortissimamente e da qui poi doveva nascere la stagione agonistica prossima, che prevedeva “l’attacco” ad una convocazione nella nazionale della 24h, oppure ottenere come risultato minimo un chilometraggio tale da permettermi almeno la domanda di partecipazione alla Badwater Ultramarathon (come da accordi presi con gli organizzatori americani). L’altro motivo era il non voler deludere il mio allenatore, la mia società, l’equipe che mi assiste e tutti gli amici che mi seguono con ricambiata simpatia e affetto. Ciò non è accaduto e di questo mi è dispiaciuto fortemente appena conclusa la corsa. Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere questa cronaca perché a mente lucida si riesce sempre a ragionare meglio, valutando ciò che a caldo, altri fattori come la tristezza, lo sconforto e la stanchezza, non ti fanno vedere. Appena tagliato il traguardo agli amici ho detto che era stata una debacle clamorosa, una Caporetto in terra marchigiana, insomma una disfatta eccezionale. Tantissimi messaggi e telefonate di stima, insieme a qualche giorno di riposo, mi hanno aiutato a fare chiarezza su tutto. Ciò che però mi ha permesso di vedere il classico “bicchiere mezzo pieno” e per questo lo ringrazio, è stata una lunga chiacchierata con Andrea Accorsi, uno dei pochi che veramente capisce il mio modo d' intendere e di vivere le corse. Una persona ”profonda” che va oltre le apparenze, oltre la superficie delle cose, vede in me atleta quello che veramente sono e non quella immagine che purtroppo appare a tanti, cioè quella di un fanatico all’eccesso. Dopo aver parlato con lui sono molto più carico e pronto a ripartire con nuovi stimoli, proiettato già a progettare una 24h da correre in primavera sicuramente all’estero e poi, siccome il mondiale dovrebbe essere a settembre, … I giorni che hanno preceduto il viaggio per Fano mi hanno visto molto attento a quelle che potevano essere le condizioni meteo durante la gara, in modo da non trovarmi impreparato di fronte a niente. Tutto sembrava ok, solo sabato mattina era prevista un pò di pioggia e davano una bassissima percentuale di precipitazione durante la notte: Non è stato propriamente così alla luce dei fatti. Una giornata fantastica alla partenza ma, durante la notte, una tempesta di acqua e grandine si è abbattuta sul circuito Enzo Marconi di Fano facendo saltare i piani di tutti gli atleti ma con questo non voglio dire che per lo specifico sia stato un risultato falsato, chi ha vinto lo ha fatto con merito, chi mi è arrivato avanti è stato più bravo di me e chi comunque ha visto la fine ma anche chi si è fermato  è stato un grande e a tutti vanno i miei complimenti e la mia stretta di mano. Potrei aver da ridire su alcuni altri particolari, ma se i giudici non hanno visto oppure hanno ritenuto regolari certi comportamenti, non sarò certamente io a polemizzare ma sarà la coscienza degli stessi atleti che ogni tanto si farà sentire ed una “vocina” ricorderà loro che certe cose non andavano fatte e ciò sarà molto più duro da mandare giù rispetto ad un giudice di gara che ti sanziona. Venerdì 07, vigilia della gara, un acquazzone si abbatte su Reggio Emilia facendo cambiare i piani per la partenza, non più in treno ma in macchina col mio amico Andrea, il quale aveva pure prenotato una camera doppia in albergo facendomi desistere dal mio intento di dormire sulle brande messe a disposizione dagli organizzatori. La pioggia ci accompagna per tutto il viaggio ed una volta arrivati, sistemati in albergo, andiamo a ritirare i pettorali. Ho subito una buona impressione di tutto, del circuito tutto chiuso, transennato ed asfaltato in un bel parco, dell’organizzazione e dell’accoglienza riservataci. I fratelli Aiudi, con il loro staff, si prodigano affinché tutto vada per il verso giusto mentre un’atmosfera familiare regna all’interno dell’area. Mi viene indicato dove sono posti i ristori lungo il percorso e quanti ne sono presenti: Sono due nelle ore che portano all’imbrunire, mediamente ogni chilometro e cento metri circa, diventeranno uno quando calerà la sera e purtroppo non ce ne saranno quando il nubifragio si accanirà su Fano, fermo restando che si poteva utilizzare (l’ho saputo dopo) il ristoro posto vicino alla tenda dove si potevano fare i massaggi, al quale però si doveva giungere da un percorso obbligato e non da altre parti del circuito pena la squalifica. Mi indicano dove saranno ubicati i ristori personali, dove poter fare i massaggi, dove eventualmente riposare, i vari punti del percorso dove si può uscire e tante altri particolari. La sera, un bel pasta party anche abbondante, e la presenza di tanti amici con i quali si scherza e ci si diverte, faranno da viatico alla notte che precederà la gara. Il sabato mattina ha un cielo sereno ed una temperatura piacevole a dispetto delle previsioni. Arriviamo al parco dove tutta l’organizzazione si sta mettendo di nuovo in moto, i giudici controllano i loro dettagli e noi atleti prepariamo la nostra postazione personale nell’area lungo i cento metri che precedono il traguardo che ci servirà lungo le ventiquattro ore di gara. Dispongo così i miei ristori, i miei cambi e poi piazzo lì anche il bandierone dell’Inter in modo che da lontano io possa vedere subito a quale distanza sia il mio posto senza sbagliare. Siamo tutti all’opera e tutti ignari della sorpresa che Dio Pluvio ha in serbo per noi tra una dozzina d’ore. Il tempo trascorre, per quello che mi riguarda, come al solito nella più totale tranquillità, conscio delle mie possibilità di far bella figura e di raggiungere uno dei risultati che mi ero preposto alla vigilia che derivavano dal sapere il modo col quale mi ero allenato e dal modo d’approcciare alla gara. Mi tiene compagnia il mio i-pod con la megacuffia che mi isola da tutti. Mancano circa quindici minuti e i giudici iniziano a fare la spunta dei partecipanti. Ormai, ci siamo. Andiamo in una parte del percorso dove è prevista la partenza e che permetterà agli atleti che correranno la cento chilometri di avere il loro fine gara proprio al passaggio sul traguardo, si, perché oltre alla ventiquattrore si correrà la corsa testé citata, la sei ore e la dodici ore. Io la definirei una festa dell’ultrarunning, ma si vede che Dio Pluvio non era tanto d’accordo, oppure non era stato messo al corrente. Ore 10.00: Parte la kermesse. Lungo la pista si vede subito e chiaramente quale atleta partecipa ad una gara ben precisa. Le velocità sono diverse e diminuiscono man mano che la gara d’appartenenza s’allunga. Vedo due treni che mi doppiano ogni tanto e sono Marco Boffo e Francesca Marin, anche se poi lei nel finale avrà un piccolo rallentamento. Io e tanti altri facciamo corsa tranquilla visto il numero di ore che abbiamo da correre. Il mio ritmo al giro è abbastanza regolare, 12’ alti e 13’ bassi con giri di 14’ ogni ora quando mi fermo per prendere il gel ed il piccolo pezzo di pane con bresaola oppure con olio al ristoro personale, questo fino al quarantesimo giro (oltre 88km, circa 08h 45’). In queste ore mi sono divertito come un matto senza accusare la benché minima fatica. Correre con Angela Gargano, Giuliana, Paola, Adele, Marinella e tantissimi altri amici, era sempre uno spunto per una battuta, per un incitamento e per una risata, tutto fantastico così come il pomeriggio sotto un pallido sole con tutti gli accompagnatori che facevano il tifo e prendevano la tintarella. Corro il quarantunesimo giro un pò più lentamente per dare un pò di conforto ad un amico, prima che atleta, che era in difficoltà, sempre però come prevede il regolamento affiancandolo per qualche metro e poi tenendomi a debita distanza, e poi continuo così fino alla quarantacinquesima tornata (circa 100km in 10 ore). Un particolare, però, mi balza agli occhi, poi confermato anche da altri partecipanti, il Garmin segna 3 km in più... Mah?! Seguono due giri mediamente intorno ai 15’ e decido di fermarmi per un massaggio. La sosta mi fa percorrere il quarantottesimo giro in 29’, però non ci sono problemi, continuo ad essere nel gruppo di testa di una gara che vede al comando il reggiano Stefano Verona. Proseguo tranquillamente a girare tra i 13’ alti e 15’ bassi, questo dovuto al fatto che mi fermo ad entrambi i ristori che intanto già avevano fornito pasta a chi ne voleva. Il cinquantasettesimo e il cinquantottesimo giro sono lenti perché mi distraggo a studiare le condizioni del cielo che, dall’esperienza che mi deriva dall’essere un ex navigante, mi sembra non promettere niente di buono. Anche col buio riesco chiaramente a vedere dei nuvoloni carichi di pioggia e così, come nei migliori gran premi di Formula Uno, dove anche la tattica e la strategia la si adegua a volte agli imprevisti e va studiata al momento, cerco d’anticipare tutti gli altri e mi preparo alla pioggia, consapevole che sul breve avrei perso qualcosa, ma che alla lunga questa scelta m’avrebbe premiato. Ancora qualche giro ed ecco giungere la pioggia che nel volgere di qualche decina di minuti si tramuta prima in un acquazzone poi in violenta grandinata. Non c’è più il ristoro, non ho la possibilità di bere qualcosa di caldo e a questo punto decido di fermarmi perché temo per la mia incolumità fisica. Pochi temerari restano fuori, qualcuno pagherà dazio dopo, altri invece vedranno premiata la loro caparbietà e si piazzeranno nelle prime posizioni in classifica finale. Anche chi era in testa alla gara, Stefano Verona, si ritira e da quel momento Tallarita prende la testa della gara, ma poi anche lui alzerà bandiera bianca dopo il temporale, rientrando in gara all’alba quando i giochi saranno ormai fatti ma comunque in tempo per vincere un bell’argento master. La mia sosta dura circa un’ora e dieci, ho il tempo d’asciugarmi, mettermi degli indumenti asciutti e di mangiare un pò di pane con bresaola. Intanto, fuori un forte vento gelido spazza via tutto facendo tabula rasa. Riparto compiendo altri cinque giri, di cui due un pò lenti, ma ormai la gara è compromessa, il freddo si è impossessato del mio corpo, il fisico cerca di combattere, la mente lucida invece mi consiglia di rientrare ancora cercando di riscaldarmi e di riprendermi. Altra sosta di un’ora steso sulla panca dei massaggi con una coperta addosso. Mi ridesto e parto ancora, compio un altro giro ma camminando ad passo lentissimo quasi 30’ per percorrere un pò più di due chilometri. Sono una nave alla deriva, ho freddo. Angela Gargano, vedendomi, mi chiede se avessi bisogno di una felpa, di guanti o di quant’altro, purtroppo le dico che ormai è andata così e che sto cercando un motivo per uscire da questa crisi e mi rifermo ancora. Sosta di un’ora e mezza questa volta senza stendermi e senza coperta, solo sotto la tenda seduto. Ad un certo punto, una voce mi dice: “Dai Ciro, forza proviamo!”. Questa non è la voce della coscienza, ma è Adele Di Lorenzo, un’altra atleta che fino al patatrac si stava giocando la vittoria della gara. Prendo un busta dell’immondizia e la metto sotto il k-way cercando di “sigillarmi” sempre di più e vado convinto di camminare fino allo scadere della ventiquattresima ora. Questo mio camminare mi dà la conferma di un dato che già era in mio possesso e che aveva solo bisogno di essere avvalorato: Purtroppo, quando cammino, sono molto più lento rispetto agli altri che fanno la mia stessa cosa. Questo aspetto sarà da migliorare nei prossimi mesi con allenamenti specifici. Ancora una volta fuori e, dopo questa ulteriore sosta, ancora un giro a camminare, poi all’improvviso s’accende la luce: Forse il pensiero che qualche amico ha percorso un pò di chilometri per venire a fare il tifo per me e che qualcun altro ancora mi ha promesso la sua presenza verso la fine della gara mi mette le ali ai piedi . Compio il settantatreesimo giro in 11’46’’, molto veloce rispetto agli altri e rispetto al mio inizio gara. Ormai il treno è partito. Mi rifermo, però adesso per spogliarmi della roba che avevo addosso, mi metto a correre in canottiera e pantaloncino corto, credo di essere stato l’unico ad essere vestito così. La settantaquattresima tornata (ultima sosta) sarà l’ultima di 18’. Sono le sette e mezza del mattino mancano due ore e trenta alla fine ed i miei giri successivi saranno : 75 – 10’41’’ ; 76 – 11’08’’ ; 77 – 10’42’’ ; 78 – 10’16’’ ; 79 - 10’48’’ ; 80 – 10’42’’ ; 81 – 10’53’’. Ormai senza cronometro, lasciato nel borsone e senza riferimento sui giri compiuti corro libero da ogni pensiero, sono leggero e felice. Vedo gli amici soffrire di una sofferenza che non m’appartiene più, stringono i denti ed i loro fisici sono molto provati. Guardo il cronometro solo al passaggio sul traguardo, il monitor che era li il giorno prima non era stato più in grado di funzionare dopo la bufera notturna. In questa mia folle corsa riesco a recuperare tre giri all’atleta che è in testa alla gara, recupero su tutti e alla grande, al punto che chi mi è davanti, quando lo passo mi chiede, forse temendomi, che giro io stia correndo. Una cosa che mi ha fatto piacere è stato vedere un atleta come Fatatis, fresco vincitore della 6 ore di Seregno, anche lui nuovo a questo tipo di gara e ritiratosi, fare il tifo per me e farmi i complimenti ogni volta che passavo vicino a lui. A questo punto un giudice di gara mi dice che sono sesto, non ho possibilità di prendere il quinto che è Vito Intini, anche lui corre ad un buon ritmo anche se più lento di me, perché alla ricerca del podio e che il settimo uomo è dietro di me di una dozzina di chilometri. Così gli ultimi tre giri saranno un po’ più lenti : 82 – 11’28’’; 83 - 12’06’’; 84 - 14’09’’. Controllando le ultime due ore e mezza di gara credo di essere stato in assoluto il più veloce. Prima di concludere l'ultimo giro, mi fermo ancora alla tenda per prendere una maglietta che avevo preparato in onore di un mio amico, Efisio, anche lui giovane maratoneta, prematuramente scomparso poco tempo fa. Dopo la gara,una bella doccia e un ricco pasta party. Resto lì anche per le premiazioni in modo da onorare e dare il giusto e meritato tributo a chi è stato più bravo di me. A mente fredda mi resta dentro la felicità d’aver vissuto una fantastica esperienza, dopo di tutto era la mia prima prova in una 24 ore su un circuito, la consapevolezza d’aver dato spettacolo verso il finire della gara e di aver regalato delle emozioni a chi era li a guardare questo ometto che, dopo 23h30’ di corsa, correva come un ossesso. Domenica scorsa ho detto: “E’ tutto da buttare”. Dopo la telefonata con Accorsi dico: “Da qui si parte e sicuramente ne vedremo delle belle”. Adesso un pò di vacanza a casa mia a Rio de Janeiro, poi si ricomincerà con la testa bassa a macinare dei chilometri, riprendendo la rotta verso quel sogno che sicuramente non è li per non essere raggiunto. Sono sicuro, ce la farò! Ah, dimenticavo,alla fino ho finito al sesto posto percorrendo 193,623 km.

martedì 27 settembre 2011

6 Ore di Seregno 2011.

La gara di Seregno è stata l’ultimo allenamento lungo e lento in vista della ventiquattr’ore di Fano che si correrà nella cittadina marchigiana nel secondo fine settimana di ottobre. Dalla gara brianzola cercavo delle risposte dal fisico e dalla “testa”, puntualmente avute,che sto,elaborando insieme ad altri dati. Volevo correre, in modo tranquillo, circa settanta chilometri ad andature crescenti ogni due ore e nonostante qualche inconveniente mi sono avvicinato molto a tutti e due gli obiettivi… I chilometri alla fine sono stati 69,355 e le andature sono andate in crescendo ma non nella proporzione e nella facilità che speravo, colpa di due grossi problemi che ho avuto, uno, proprio, dovuto alla sfortuna. Partiamo dall’inizio…Non è un sabato festivo per me, la sveglia suona alle tre e mezza ricordandomi che devo andare a lavorare. Verso le undici, il mio amico Andrea viene a prendermi e partiamo alla volta di Seregno. Durante il viaggio verso la Brianza tutto fila per il verso giusto fin quando non arriviamo alla barriera di Milano Melegnano, dove c’è la solita lunga e lenta coda. Perdiamo tanto tempo, poi, quando crediamo di aver lasciato alla spalle i rallentamenti, ecco tutta una serie di lavori in corso che ci fanno giungere nel luogo della partenza gara solo venti minuti prima dello start e dovendo ancora ritirare i pettorali, non è che avessimo tanto margine. Giunti al parco “2 giugno” alla Porada vediamo tanti gazebi, alcuni ospitano i ristori ed altri le società che partecipano alla prova a squadre, tutto il percorso è segnato per bene, metri e metri di nastro lo delimitano . Posso sicuramente affermare che l’organizzazione ha lavorato abbastanza bene e che solo nel finale della gara hanno trovato conferma alcuni dubbi che m’erano venuti subito. Tutto ciò, però, non influisce sul giudizio più che buono che esprimo sulla gestione dell’evento, anzi mi fa piacere ricordare che gli stessi organizzano una bella 100km che si tiene in primavera e il prossimo hanno saranno i padroni di casa del campionato mondiale della medesima distanza. Tanti atleti presenti, diciamo i “soliti” che chiacchierano un pò di tutto spensieratamente e noi, che in fretta e furia ritiriamo il pettorale, iniziamo la vestizione vicino alla macchina. Ormai mancano cinque minuti e ci si porta alla partenza… Ore 14.00,pronti via. Un pomeriggio da circa trenta gradi ed un’afa opprimente ci accolgono all’interno di questo polmone verde in terra lombarda. L’andatura molto cauta (5’10"km) fa in modo che mi rilassi e chiacchieri con altri atleti. Terminato il primo giro e vedendo che in alcuni punti si restringe capisco già che li, verso la metà della gara, potrebbero sorgere delle difficoltà dovute alle diverse andature dei partecipanti. Il tempo trascorre, i giri si susseguono ed anche le espressioni sui volti degli atleti cambiano diventando sempre più tese e affaticate così come si appesantiscono anche le loro andature. Sul percorso incontro tantissime persone che conosco e sono li a fare il tifo vivendo anche una bella giornata di sport. E’ presente sul percorso anche Monica Casiraghi, stavolta però non come runner. La pluridecorata atleta della nazionale aiuta i suoi amici con i ristori personalizzati e non fa mai mancare a tutti noi una parola d’incoraggiamento. Contemporaneamente alla nostra gara si svolge anche quella a squadre la quale però ha un altro percorso che s’incrocia col nostro per una cinquantina di metri quando si transita dal traguardo, questa particolarità mi permette di salutare tantissimi altri amici e trovo perfino il tempo di fermarmi, con piacere, quando incrocio Alessandra con la quale scatto una foto con bacio annesso. Per me questa gara è solo un allenamento e la prendo allegramente rispettando però sempre quello che devono essere i passaggi chilometrici. Trascorse due ore però, causa acqua un pò più fredda del solito presa al ristoro inizio ad avere problemi di stomaco e diarrea. Mi fermo diverse volte per andare al bagno perdendo molti liquidi che però reintegro in parte ai ristori successivi. In una di queste soste al bagno chimico perdo anche una lente a contatto e questo per me è un dramma. Resto li qualche minuto a cercarla per terra e fortunatamente la ritrovo, naturalmente non posso rimetterla, così faccio un giro completo di percorso con la lentina in mano cercando anche di non danneggiarla per poi riporla nel marsupio al ristoro. Da quel momento, per me, inizia una gara un pò diversa da quello che avevo prospettato, perché correre vedendo pochissimo da un occhio mi provoca un forte mal di testa e questo un pò m’innervosisce. Da lontano iniziano a manifestarsi i primi fulmini e da li a poco su Seregno si abbatterà un temporale che unito ad un vento forte e freddo saranno nostri compagni di gara fino al traguardo. Intanto risolto il problema intestinale che m’aveva anche fatto rallentare ma mai camminare, provo a fare un giro allungando il passo, facendo in modo che i muscoli si riprendano da quel torpore nel quale si erano adagiati. Primo mezzo giro un pò “duro di gamba” poi dopo tutto con estrema facilità. Lungo il percorso, durante una sosta precedente m’ha doppiato Valerio Fatatis, che poi sarà il vincitore, ma non me ne sono accorto. Ormai manca circa un’ora e un quarto alla fine e decido di allungare ancora un pò e vedo che tengo bene. Sul circuito nessuno corre più e mi chiedo allora in quale posizione io mi possa trovare, all’improvviso mi passa Lucas che ha un bel passo, un saluto al volo e va… Verso la fine delle sei ore dal percorso iniziale ci fanno andare sul giro più corto per permettere poi la misurazione dei chilometri, la strada è stretta e moltissimi atleti camminano chiacchierando come se facessero una passeggiata impedendo a noi di correre bene, è tutto un zig zag, tutto un toccarsi… Alla fine in classifica sono settimo e vincerò la mia categoria, però dal podio non è che sarò tanto distante. Concludendo, quattro chiacchiere con gli amici al ristoro sotto la pioggia ed il recupero del marsupio con la lente a contatto. Sudato e bagnato, dal freddo, batto i denti e solo una bella doccia calda in uno spogliatoio confortevole mi rimette in sesto. Vado alla premiazione, ritiro il mio premio e ringrazio Molteni che è tra gli organizzatori di questa bella kermesse e ritorniamo a casa. Quando poi il giorno dopo leggo la classifica relativa ai giri percorsi con annessi i tempi, scopro che gli ultimi miei chilometri oltre ad essere stati corsi in progressione, sono stati i più veloci di tutti, è questo è indice sicuramente di una buona condizione.

venerdì 19 agosto 2011

4^ Ecomaratona della Valdarda: Come perdersi e divertirsi.

“Ahahahahahahahahah”. Permettetemi d’iniziare così l’articolo sulla 4^ edizione dell’Ecomaratona della Valdarda, perché è proprio così, con una fragorosissima risata che l’ho terminata. Dopo sei ore e qualche minuto di corsa è stata la prima cosa che ho fatto, istintivamente, appena tagliato il traguardo e non smettevo più a tal punto che sembravo morso da una tarantola. Negli ultimi settanta metri di gara, sulla leggera salita che ci portava alla finish line, mi è venuto in mente un libro che avevo letto qualche anno fa sotto l’ombrellone e, chiedendo scusa fin d’adesso a qualche fine cultore dell’italica letteratura che potrebbe storcere il naso o a qualche lettore di libri “impegnati” per la leggerezza di alcune affermazioni, mi va di raccontare. Oggi mi spingo in questa direzione perché credo che ogni tanto un pò d’ilarità non possa che far divertire e regalare qualche momento simpatico. Il libro in questione è “La legge di Murphy”, nel quale c’erano anche altre “leggi” che “regolano” la vita quotidiana. Posso affermare, senza alcun dubbio, che questa gara sia stata l’elogio alla prima legge di Scott (“Qualsiasi cosa vada male, avrà probabilmente tutta l’aria d’andare benissimo”), l’esaltazione della legge di Murphy (“Se qualcosa può andar male, lo farà”) e l’apoteosi della seconda legge di Sodd (“Prima o poi la peggiore combinazione possibile di circostanze è destinata a prodursi”). A questa manifestazione non dovevo prendere parte, poi, una serie di circostanze favorevoli sul lavoro mi hanno permesso di essere presente alla partenza di Morfasso nel giorno di ferragosto, fortuna poi ha voluto che, rispetto all’anno scorso, quando delle piogge flagellarono questa parte di penisola, ci fosse il percorso senza grosse pozzanghere e quindi più godibile e più facile tecnicamente. Successivamente è andata a finire che mi sono perso, ma questo non chiedetelo a me ma a Scott, di cui prima ho accennato.
Sono giunto nella località piacentina molto presto in compagnia del mio amico Andrea, come sempre prezioso. Il paesino dorme ancora, qualcuno è al bar nel piccolo centro e vede arrivare un pò alla volta delle persone “colorate”, dagli accenti più disparati che prendono possesso del loro spazio: E' divertente notare come questo flusso umano aumenti sempre di più col passare dei minuti. Dopo un caffè macchiato, una brioche e qualche consiglio chiesto a Stefano sulla Badwater Ultramarathon che ha corso brillantemente e magnificamente (Complimenti!) il mese scorso, si va a ritirare il pettorale e il pacco gara nella palestra di una scuola che ha la sua sede a poche decine di metri da noi. Tutto molto veloce, ordinato, come sempre a questa latitudine. Nel pacco gara poche cose, tra cui una bella maglia tecnica della misura richiesta da noi (non capita sempre) e per me va già benissimo così. Manca ancora un pò alla partenza, si aspettano quelli che (già si sa) arriveranno in ritardo (Vero dott. Paolo B.? La prossima volta ti mando un elicottero a casa, così poi vediamo). Il colorito e colorato gruppo dei super maratoneti sempre numerosi in ogni dove fa sentire la sua presenza simpatica e poi anche gli amici dei Runners di Bergamo contribuiscono a rendere piacevole l’atmosfera della vigilia. Le solite, tante foto che poi andranno ad inondare blog e social network vengono scattate, le medesime chiacchiere pre-gara, insomma ci sono tutti i presupposti per una bella giornata (vero Scott?).
Sotto il gonfiabile della partenza, a qualche minuto dal via, lo speaker ci dà le utilissime indicazioni sul percorso e sulla giornata, poi siamo pronti per la “corrida”. Noto, però, con dispiacere, spero che i numeri mi smentiscano, che, rispetto all’anno scorso, i partenti siano calati e ciò questa kermesse non lo merita,anzi. La mia è una partenza molto tranquilla, voglio godermi la giornata, sono munito di macchina fotografica per immortalare i fantastici paesaggi che già so allieteranno i miei occhi, ho una borraccia perché devo provare degli integratori che userò nella gara che sto preparando e poi perché, trattandosi di una corsa su un percorso misto, ma prevalentemente sterrato e roccia, non voglio farmi male. Vado su bello tranquillo, in compagnia di Rosario, il percorso è segnato benissimo, i ristori sono buoni, insomma è un godimento. Intanto Murphy e Sodd, secondo me dormono ancora… (ricordate l’inizio del racconto?). Ad un certo punto del percorso, nella boscaglia, sento un urlo, aspetto un pò e vedo arrivare un atleta che mi dice di essere caduto, gli chiedo se abbia bisogno di un aiuto, ma rispondendomi: “Tutto ok!”, mi fa riprendere la corsa. Nel bel mezzo però di uno dei tratti più difficili e più belli del tracciato è come se venissi morso da un cane al muscolo della coscia destra, è un attimo, all’improvviso mi si spegne la luce, ma sono lì attaccato alla parete, non posso permettermi il lusso di non essere in me, riprendo subito il controllo della situazione e guadagno la cima del monte da dove scatterò delle fantastiche foto, era un inizio di crampo però subito domato. Naturalmente la colpa di questo fastidio non posso darla che a Rosario, il quale, parlandomi del suo problema alla coscia, me l’avrà passato per induzione. Si corre su lungo il crinale, si scende aggrappati alla corda che è fissata alla roccia e si va giù con qualche brivido con l’adrenalina a mille.
La prima parte di gara è trascorsa,tratti d’asfalto mi fanno respirare e recupero un bel pò di posizioni perse, ho un altro passo e sono più a mio agio su questa lingua di percorso nera. A questo punto, si vede che qualcuno è andato a svegliare il signor Murphy, che inizia a fare colazione e perde un pò di tempo perché, dopo aver imboccato lo sterrato e fattomi ritornare in cima, al trentaduesimo chilometro circa inizia la sua opera. Imbocco una discesa che, comunque segnalata da un cartello, non ricordo aver fatto l’anno scorso. Naturalmente, come insegna la legge di Murphy: “Se qualcosa può andar male lo farà”, sbaglio strada. Corro per circa 750 metri ma non vedo segnalazioni. “Cavolo, non può essere, ma è l’unica strada che c’era”, mi ripeto. Non sono convinto e rifaccio la strada nella direzione opposta tornando sui miei passi, fischiando, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno, ma niente. Intanto anche la sveglia del signor Sodd suona e lui inizia subito la sua opera. All’improvviso, quando ormai scherzando con me stesso, mi vedevo già figlio della montagna, abbandonato al mio destino come novello Robinson Crusoe sull’isola dopo il naufragio, spunta un atleta che viene giù sparato, gli dico che andando avanti non ci sono segnalazioni, si ferma un pò titubante e mi dice:”Sei sicuro?”. Gli rispondo che non avrei fatto un chilometro e mezzo in più per essere in quel posto, se non avessi avuto la certezza di quello che dicevo. Aspettiamo un pò e vediamo arrivare altri due, i quali alla nostra avvertenza rispondono allo stesso modo precedente e con lo stesso tono. Adesso però siamo in quattro e si va tutt’insieme, indovinate in quale direzione? Quella sbagliata naturalmente. Arriviamo più giù e ci rendiamo conto che la situazione ci è sfuggita di mano. Siamo lì, ci guardiamo intorno, quando all’improvviso, lungo un sentiero parallelo al nostro, nascosto alla nostra vista, vediamo una striscia di plastica biancorossa che pende. “Bene, eccolo lì il percorso”, è la nostra affermazione gioiosa. Due dei miei compagni di sventura si fiondano giù a tutto spiano, mentre io e Paolo procediamo molto cautamente .Vediamo i segni bianco e rossi sugli alberi e proseguiamo in quella direzione, ma adesso anche il signor Sodd è nel pieno del suo lavoro (“Prima o poi la peggiore combinazione possibile di circostanze è destinata a prodursi”, ricordate?). Finisce il bosco, arriviamo ad un incrocio sull’asfalto dove non troviamo nessuna segnalazione. Scorgiamo quello che potrebbe essere un segnale, continuiamo la nostra avventura però abbiamo qualche dubbio (Murphy non ascoltarci!). Proseguiamo, ancora un altro bivio ci si para davanti: Una strada è “sbarrata” da un cane e l’altra è libera,secondo voi dove andiamo? Nella direzione del quadrupede domestico, allontanandoci sempre di più dal traguardo.”Dove c’è un cane con un collare, ci sarà un padrone a cui noi chiederemo un’informazione”, ripete Paolo. Andiamo avanti un pò e scorgiamo due ragazzini che mi sembrano abbastanza vispi, non mi fido, però sono le uniche persone che incontriamo. “Ciao ragazzi, ci siamo persi, sapete indicarci la direzione per Casali?” A questo punto Sodd gongola, i ragazzini ci indicano la direzione opposta a quella reale e noi fiduciosi andiamo. La strada dopo un pò inizia a salire e questo non può essere possibile, incrociamo un giovane al quale formuliamo la stessa domanda posta ai ragazzini e questi, con un’aria un poco meravigliata e con un tono che vuole nello stesso tempo rassicurarci, ci dice: “Casali? Ma è da tutt’altra parte rispetto a dove siamo adesso, dovete ritornare da dove state venendo e poi…”, ci spiega tutto e ci rimettiamo in marcia, il tempo continua a scorrere e son passate cinque e un quarto da quando siamo partiti. Lungo la strada sentiamo delle voci, c’è un pranzo tra amici su un terrazzino, richiediamo l’informazione, ormai diventata un refrain, con la stessa incredulità del ragazzo di prima ci confermano la direzione dandoci anche dei punti di riferimento. Paolo è un pò in difficoltà, ha finito l’acqua, è molto lento ed inizia ad innervosirsi, gli faccio coraggio e lo incito. Io, invece, sono preoccupato per gli amici che non vedendomi arrivare al traguardo inizieranno a porsi degli interrogativi. Ci portiamo su una discesa dove alla fine dovremmo trovare una pizzeria e poi… E poi, naturalmente, un altro incrocio… “Dove si va?”, mi chiede il lombardo, gli rispondo che non mi sarei mosso da lì finché non fosse passato qualcuno a cui chiedere un’informazione e che brancolare al buio era inutile, lui insiste chiedendomi di fare duecento metri per vedere dove arrivasse quella strada. All’improvviso però la fortuna si ricorda di noi, passa una macchina dell’organizzazione che ci dice che anche altri si sono persi e che la direzione che avevamo anche stavolta  preso, era opposta a quella reale. “Proseguite sempre dritto ed arriverete, tranquilli ragazzi, tranquilli…” Ringalluzziti da questo incontro, ormai siamo lanciati verso Casali, lungo la nostra strada c’è una ragazza che prova a correre ma non è una podista, le chiediamo quanto disti la nostra meta e ci risponde che al massimo sarà un chilometro e mezzo, un pò strano, perché il paesino lo scorgiamo da lontano. Scopriremo poi che la donzella ha uno strano concetto dei metri e delle distanze, in quanto più del doppio sono, in realtà, i chilometri che ci separano dal traguardo. Ancora una macchina dell’organizzazione lungo la via c’incita e poi, finalmente, anche le frecce sull’asfalto ci “dicono”eco maratona e si sente lo speaker parlare. Giriamo a destra, gli ultimi settanta metri sono da correre. Inizio a ridere, in lontananza - come in un sogno - tutto si sfuoca e vedo solo tre sagome che ci aspettano. Taglio il traguardo di questo sogno/incubo e trovo a premiarci il signor Scott che mi ricorda che: “Qualsiasi cosa vada male, avrà probabilmente l’aria di andare benissimo” e, vedendo come era iniziata, con la fortuna al lavoro ed il bel tempo, e come è finita la gara con la scomparsa dal percorso,non posso che dargli ragione. A passarmi l’acqua al ristoro c’è il signor Sodd che mi ricorda che: “Prima o poi la peggiore combinazione possibile di circostanze è destinata a prodursi” e, visto dove siamo andati a finire dopo tutta una serie di eventi, l’abbraccio. L’unico che applaude soddisfatto di tutto e ride di gusto è il buon Murphy che, tanto per suggellare il tutto, mi ricorda che: “Se qualcosa può andar male, lo farà”. Ricordando quando ho avuto il primo dubbio sul percorso,ho dovuto stringergli la mano. All’improvviso, però, mi risveglio ed una gentile e carina ragazza mi mette al collo una bella medaglia, tutt’intorno a me gli amici mi chiedono i motivi per l’innaturale ritardo. Dopo la mia spiegazione, arrivano gli sfottò che accetto di buon grado, anzi sono il primo a ridere di me e dell’accaduto.
Dopo la doccia e un buon pasta- party siamo ritornati a casa. E’ stata come sempre una buona corsa come negli anni scorsi e, come sempre dico, poco e male pubblicizzata, perché merita veramente una partecipazione maggiore. Un solo neo ha reso non perfetto il tutto. Se avessi sbagliato solo io il percorso avrei dato la colpa alla mia poca attenzione, così come in primis avevo fatto, però, siccome ci siamo trovati in tantissimi in quella situazione ed era un unico lagnarsi mentre mangiavamo, posso anche immaginare che ci sia stato qualcosa che non abbia funzionato a dovere. Nel ritornare a casa ho visto un autovelox, secondo me ero “giusto” con la velocità, però non ditelo a Murphy, altrimenti tra qualche settimana...

mercoledì 3 agosto 2011

48 km Rimini Extreme 2011.

Quest'anno, memore della delusione del 2010, non volevo andare a correre a Rimini, poi un pò perché avevo voglia d’allenarmi su un bel percorso abbastanza duro insieme agli amici, un po’ perché volevo vedere se qualche miglioria fosse stata apportata, ho deciso, qualche giorno prima della chiusura, d’iscrivermi alla manifestazione. Alla fine, nonostante ci siano stati alcuni cambiamenti in senso positivo, son rimasto con qualche dubbio. Sono partito alla volta di Rimini nel primo pomeriggio di sabato ed alla stazione ho incontrato con piacere l’amico Bien Sen Du, anche lui partecipante alla gara romagnola. Persona simpatica questo atleta vietnamita ormai reggiano d’adozione, il suo parlare entusiasta delle corse ha fatto scorrere il tempo più velocemente di una gara di Bolt sui cento metri, così in un attimo ci siamo ritrovati in Riviera. Quattro passi in città ed arriviamo alla nuova darsena per il ritiro del pettorale, la pratica la sbrighiamo in modo molto veloce. La banchina del molo inizia ad animarsi, gli amici sono quelli di sempre ormai, poche le facce nuove, ma sempre benvenute perché non si esaurisca mai il fiume di persone che corre, si diverte e sta bene nel corpo e nell’anima. Arriva il momento del pasta party, in orario e secondo me meglio organizzato dello scorso anno, quando si mangiò “maluccio”ed in ritardo, creando non pochi problemi a parecchi atleti. In giro, però, già sento qualcuno che si lamenta del pacco gara che, se fosse per me, eliminerei ma non tutti la pensano come il sottoscritto. “Non si possono pagare cinquanta euro per un’iscrizione e poi avere un paio di calzini (che tutti i rivenditori di scarpe regalano) ed una maglietta di cotone con neanche il logo della manifestazione, ci sentiamo presi in giro”, era questa la voce che aleggiava, effettivamente la t-shirt dell’anno prima almeno rievocava l’evento, questa invece aveva solo il logo della società che ha organizzato la kermesse (che fossero fondi di magazzino da smaltire? Qualche dubbio può venire ed è lecito). Con Denise che scatta foto a più non posso e noi che inganniamo il tempo divertendoci e raccontandoci delle impressioni sulle gare, arriva l’orario dell’adunata. Inno nazionale e poi c’incamminiamo tutt’insieme verso la partenza vera e propria. Attraversiamo il centro storico di Rimini, il ponte di Tiberio, piazza Cavour fino all’Arco d’Augusto che vedrà lo start della manifestazione alle ore 22.00. Da lì in poi, un bel nutrito gruppo di ultramaratoneti, circa centosettanta che rappresentano tantissime nazioni, affronterà un percorso molto impegnativo che toccherà una decina di comuni e si svilupperà tra l’Emilia Romagna e le Marche. Inizio ad andatura molto ma molto tranquilla, sono insieme a podisti che devono correre la cento chilometri, quindi il ritmo è basso. Si chiacchiera tanto e si cerca di dare consigli a chi deve coprire per la prima volta la distanza e la teme. Il tempo trascorre, il percorso un pò brutto almeno inizialmente comincia a diventare bello e più difficile tecnicamente man mano che si va verso l’entroterra, quando s’affronteranno delle discrete salite. In gruppo con noi ci sono Antonio Tallarita e Daniele Cesconetto, reduci dalle loro ultime strabilianti e faticose gare, questi due atleti che sono tra i maggiori esponenti dell’ultramaratona in Italia non faranno mai mancare il loro incitamento verso tutti noi, la voce di Antonio farà poi da scia al nostro passaggio per tantissimi chilometri. Ai ristori gente cordiale ci accoglie, c’incita e ci fa sentire il proprio supporto. Arrivato ad un certo punto, però, sento il bisogno di aumentare l’andatura, stacco gli altri e m’avvio da solo, consapevole che delle difficoltà potessero sorgere, più che altro per la non sufficiente e a volte poco chiara segnaletica sul tracciato di gara, perché fisicamente ero conscio della mia preparazione. Attraverso una zona industriale con asfalto mal messo e poi ritorno a salire. Il cielo, prima illuminato dal chiarore della luna, inizia a diventare sempre più cupo. Da lontano, fulmini che non promettono niente di buono cominciano ad essere il faro in una notte buia, mentre all’orizzonte si stagliano le luci dei tanti paesini che popolano queste zone. Un vento forte e freddo inizia ad alzarsi ed il tempo si prepara al brutto. Inizio ad avere un pò di paura perché la forza delle folate tende a spostarmi e comincia a venir giù anche qualche goccia di pioggia, mi rendo conto di essere in balia del vento come una nave senza timone che va alla deriva. Decido così ancora di “accelerare”, tanti atleti che sopravanzo si meravigliano del mio incedere, ma ormai voglio solo il traguardo e non punto che a quello. Transito al quarantaduesimo chilometro, c’è un buon ristoro, l’anno scorso invece era previsto l’arrivo della maratona. Un posto anonimo, buio, senza docce e con il luogo del cambio indumenti angusto e freddo, al solo pensiero mi sale ancora la rabbia. Quest’anno, portando il traguardo al 48km, l’arrivo è stato spostato a Villagrande di Montecopiolo, punto più alto del percorso posto a circa 1000m s.l.m., hanno sicuramente apportato una miglioria. C’erano le docce e uno spogliatoio che ci hanno permesso di rimetterci in sesto subito e questo l’abbiamo veramente molto gradito. Una cosa invece assurda è stata aspettare le 6 del mattino per essere ricondotti a Rimini. Con condizioni meteo normali, i disagi sarebbero stati pochi, ma alle tre di notte, con freddo e vento, l’attesa è stata snervante. Il problema grosso l’hanno patito gli atleti della cento chilometri che purtroppo si erano ritirati e non avevano niente per cambiarsi in quel punto. Hanno dovuto aspettare all'intemperia, sudati, stanchi e con qualche problema (altrimenti non si sarebbero ritirati), rischiando anche un accidente. Anche noi, che dopo la doccia eravamo più “freschi”, abbiamo patito nell’attesa. Rivedo ancora la “povera” Monica tutta avvolta in un telo termico, rannicchiata sul marciapiede che cercava di far passare il tempo chiacchierando, però si leggeva sul suo volto la sofferenza. Devo dire che la simpatia delle persone che erano lì al ristoro ci ha aiutato tantissimo, abbiamo trascorso circa due ore e mezza e ci hanno offerto di tutto: Caffè, panini , biscotti , frutta. Gli dico ancora grazie,i loro modi così affabili e gentili hanno lenito le nostre pene e reso la nostra attesa meno drammatica. Il pullman è arrivato poco dopo le quattro del mattino. “Si partirà”, ripetevamo tutti, invece no, abbiamo dovuto aspettare che anche l’ultimo atleta arrivasse, naturalmente dopo oltre un paio d’ore. Giustissimo e sacrosanto, allora perché non organizzare due pullman più piccoli in modo che con due partenze sarebbero stati tutti più contenti? Mistero! Un altro piccolo particolare mi ha colpito: Ho dato cinque euro, come da programma, per il passaggio giù in città ma nessuno si è degnato di controllare l’effettivo pagamento una volta in corriera. Se non lo avessi fatto? Mentre la città si svegliava sotto un cielo plumbeo e piovoso, noi arrivavamo a Rimini e da lì a poco gli amici della cento chilometri avrebbero iniziato a tagliare il traguardo accolti sì da un clima autunnale, ma anche dal calore di tutti noi che leggevamo sui loro volti l’immensa soddisfazione che si prova quando si porta a compimento una gara resa ancora più difficile da un meteo poco amico. Col passare del tempo mi sono accorto che anche alcuni atleti “top” si lamentavano. Stavolta l’oggetto del malcontento erano le premiazioni,troppo il tempo che hanno dovuto aspettare, anche secondo me. Posso capire quando si devono stilare le classifiche per i premi di categoria che talvolta vedono qualche loro protagonista arrivare verso la fine, ma gli assoluti che hanno finito le loro gare - chi alle due di notte (48km), chi all’alba (100km) - non possono essere tenuti lì ed essere premiati nel pomeriggio. Verso mezzogiorno è iniziato un altro pasta party anch’esso abbondante e soddisfacente, così mentre si preparavano le premiazioni e la pioggia scendeva copiosa, calava anche il sipario su questa manifestazione. Si mormora che questa potrebbe essere stata l’ultima edizione del raduno riminese, sarebbe un vero peccato perché, ripeto, se mettono a posto alcuni dettagli è veramente molto bella. Speriamo bene…

lunedì 25 luglio 2011

1a Ecomaratona della Solidarietà della Fonte di Pietramarina.

Sarebbe troppo facile e riduttivo,dopo questa corsa, dire:” Ci sono più aspetti negativi che positivi, la prossima volta non ci vado “. Io,invece,lavoro permettendo, l’anno venturo sarò ancora presente alla partenza. Qualcuno potrebbe esclamare: “Ma sei impazzito? ”. No,non ho perso il lume della ragione improvvisamente, ho la consapevolezza che si possa far meglio e la certezza che così sarà. Ho avuto il piacere di conoscere Samuel, l’organizzatore, una brava persona,un runner come noi. Ho visto la sua volontà,la sua grande passione nel preparare la manifestazione e quindi a me basta ciò per avvalorare la mia tesi. Sono convinto,infatti, che con i giusti accorgimenti e qualche modifica questa gara possa migliorare fino a diventare, in un prossimo futuro, una tappa fissa nel panorama podistico nostrano.La bellezza di questa kermesse sta nella sua location,la collina di Montalbano,nei pressi di Prato,dalla quale si può godere di un bel panorama che con lo scorrere lento delle ore varia nei colori diventando sempre diverso e sempre più magico. Vedere Firenze da lontano mentre il sole tramonta con le prime luci della sera che iniziano ad ammantarla è veramente particolare e diventa bellissima quando un cielo stellato l’avvolge per intera. Tutto ebbe inizio qualche mese fa quando mi arrivò un messaggio molto semplice:”Organizzo un’ecomaratona,vieni ? Ti divertirai…” Firmato: Samuel Bellin. Gli risposi che, non potendogli garantire la certezza nell’immediato,ci saremmo sentiti a luglio. Intanto,sulla mia scrivania saltuariamente faceva capolino il volantino che avevo preso non mi ricordo in quale gara. Passato un pò di tempo però, mi ero quasi dimenticato di questa manifestazione,fin quando ancora un altro sms:”Che fai vieni? Samuel. “. Non ci penso due volte e la risposta che gli do è affermativa,chiedendo solo la cortesia che qualcuno mi possa attendere in stazione a Prato vista la distanza dalla località della partenza. “Non ti preoccupare Ciro,verrà un ragazzo a prendere te ed altri amici che arriveranno in treno”. Una volta giunto in Toscana, dopo un viaggio avventuroso ed in ritardo grazie a Trenitalia,trovo ad aspettarmi Vito (supermaratoneta da oltre seicento gare tra 42,195km e ultra nel suo curriculum),François (anche lui buon runner) e poi il “ragazzo” al secolo Fedele Lepore (un podista che si sta facendo… Nel senso che ha tanta voglia di correre e che sta preparandosi a nuove sfide).Ci rechiamo in località Il Pinone,zona di partenza della gara. Il ritiro del pettorale e del pacco gara è veloce,c’è tanto spazio e ci si muove bene.Man mano che passa il tempo arrivano alla spicciolata tanti atleti,alcuni già miei amici e che rivedo sempre volentieri,altri che ho il piacere di conoscere al momento. Manca ancora qualche ora al via,inganniamo il tempo mangiando un pò di biscotti,chiacchierando e scattando foto. L' allegria e la spensieratezza riempiono l’aria e tutto scorre tranquillamente. Finalmente le 17.25.Samuel,illustrandoci il percorso e le sue particolarità,ci mette in guardia su alcuni dettagli relativi all’organizzazione post gara. Ore 17.30,via. Primo mezzo giro ad andatura tranquilla fino ad arrivare su al ristoro che allo stesso tempo sarà anche il traguardo della corsa,da li in poi seguiranno altri otto giri completi. Un circuito pieno di incognite e mai noioso. Ogni passaggio ha saputo regalarci delle emozioni sempre diverse perché,in continuazione, dei particolari nuovi venivano scoperti e catturati nell’attimo in cui passavi,veramente bello. Anche il clima mutava poco a poco, andando incontro alla sera la temperatura calava e nei punti scoperti c’era veramente freddo. Fantastici giochi d’ombre,grazie al sole in fase calante,erano riflessi a terra,insomma ogni volta uno scenario diverso e suggestivo da vivere intensamente in quel momento. Il percorso fatto di sterrato,pietre,rocce,strade strette,rami che sbucavano all’improvviso,radici di piante e di alberi che ci tendevano degli agguati,salite discese non è mai stato monotono anche perché sempre alta doveva essere la concentrazione per non farsi male. Ogni conclusione di giro (5 km) era una festa,un buon ristoro,ricco di pasta,salumi,marmellata,liquidi vari,frutta e tanto ancora,permetteva di fare il pieno di energia per affrontare un altro periplo. Il mio incedere era abbastanza costante,intorno ai trentuno minuti al giro,fin quando però non è calato il buio,da li in poi le cose son cambiate. Nonostante la luce frontale e la torcia non ero sicuro di me,avevo paura di farmi male e così ho deciso che l’ultimo giro e mezzo l’avrei camminato. Ho perso diverse posizioni ma era solo un allenamento e non valeva la pena infortunarsi. Così la parte finale l’ho “passeggiata” insieme a Paolo,Massimiliano e Cristina,in questo modo dopo cinque ore e ventisei minuti ho tagliato il traguardo. L’arrivo,come sempre col bandierone dell’Inter,ha visto Samuel venirmi incontro e mettermi al collo una bella medaglia di legno. Quella, che nella vulgata si assegna a quelli che restano ai piedi del podio,qui,ha un altro sapore e cioè quello della vittoria,si,proprio della vittoria perché i soldi che abbiamo pagato per l’iscrizione, al netto delle spese, verranno dati in beneficenza alla lega italiana fibrosi cistica e poi cosa c’è di più simpatico ed ecologico di una bella medaglia di legno? Il ristoro finale è stato abbondante e squisito. Ho finito le mie fatiche verso le ventitré ma son rimasto li al rifugio fino alle due di notte. In tutto questo tempo ho avuto modo di vedere tanti atleti arrivare e ringraziare l’organizzatore, tutti stanchi ma contenti e questo mi ha fatto molto piacere. Abbiamo anche festeggiato le trecentoventi maratone di Massimiliano aprendo delle bottiglie di spumante da lui portate (si vede che le avevano in offerta al supermercato… Ahahahahah). Tutto molto simpatico. Quando, verso l’una e mezza, anche l’ultimo dei partecipanti è arrivato e tutto è stato messo in ordine,Samuel mi ha riaccompagnato in stazione. Un gesto che ho apprezzato tantissimo dopo una giornata molto lunga e faticosa anche per lui. Nel periodo che ho aspettato dopo il mio arrivo, non ho sentito voci critiche levarsi,però alcuni rilievi bisogna che si facciano,perché proprio qui alla fine secondo me ci sono delle cose da cambiare. La mancanza delle docce,il tragitto impervio ed infido da fare per ritornare al parcheggio delle macchine,sono degli aspetti da migliorare. Secondo me invertendo il punto di partenza con quello d’arrivo si arriverebbe alla soluzione. Un’altra cosa che a me non è piaciuta è stata,andare incontro alla notte,verso il buio. Su un percorso del genere, pieno d’insidie e pericoloso,è molto facile cadere e farsi del male com’è successo a qualcuno. Non vale la pena rovinare un bel pomeriggio in questo modo. Il mio consiglio è di partire in mattinata,il percorso è abbastanza coperto e quindi problemi di sole e caldo non dovrebbero presentarsi in modo eclatante. Una cosa utile potrebbe essere anche l’aggiunta di un ristoro,magari di soli liquidi,quando si passa,con l’attuale conformazione del percorso,dalla partenza. Concludo ringraziando l’organizzatore,ed i suoi aiutanti ( i genitori e la moglie) che tanto si sono prodigati per regalarci una bella manifestazione. Come inizio non c’è male,miglioriamola e saremo sempre di più ai nastri di partenza nei prossimi anni. FORZA E CORAGGIO.

venerdì 27 maggio 2011

Nove Colli Running 2011 : Una vittoria per tre...Ciro,Paolo e Andrea.

…Eccolo,da lontano,prende forma LUI,il grattacielo di Cesenatico. La stanchezza fisica ormai è solo un vago ricordo,le sofferenze patite durante la notte sono svanite velocemente come i fulmini prima dei roboanti tuoni durante quei bei temporali di primavera che rinfrescano l’aria. Con tenacia e forza di volontà ferrea andiamo avanti. All’orizzonte quel mostro di cemento sembra aspettare gli atleti con le fauci aperte… La scritta arrivo. Ormai è solo gioia,felicità e allegria. La strada fatta non la ricordiamo più,solo quattrocento metri del lungomare Carducci ci dividono dalla gloria. La gente applaude,due ali di folla impazzite accompagnano il nostro incedere,il bandierone dell’Inter sventola alto sulle nostre teste, salutiamo tutti,piangiamo di commozione,abbracciamo idealmente il mondo intero,vorremmo che in questo momento,come per incanto,si fermasse il tempo,ci piacerebbe scolpire nella roccia,se si potesse,questa nostra felicità e lasciarla ad imperitura memoria. Questa è felicità allo stato puro. I metri passano anche abbastanza velocemente,vogliamo godere di questi attimi come un assetato quando trova una fontanina lungo il suo percorso e sa che non ce ne saranno più. Vediamo Ivan,Monica,Andrea,credo Enrico che sono felici come noi. Il traguardo,Mario che ci viene incontro,ci siamo,pochi metri e poi l’urlo liberatorio:”Paolo ce l’abbiamo fatta !!! "
A casa mia, da ragazzo, ci sono state delle imprese sportive che, nel mio immaginario, hanno avuto da sempre un sapore di storia con un alone di leggenda che le avvolgeva: L’Italia Campione del Mondo nel 1982 con le bandiere appese ai balconi e l’allegria della gente italica che si riversava nelle strade, l’Olimpiade di mio fratello Enzo ad Atlanta nel 1996 con la sua presenza alla cerimonia inaugurale, col mondo intero che lo guardava e con la commozione nostra che avevamo lì un pezzo di cuore... Poi c’era la Nove Colli che il mio papà aveva corso in bici con la fatica dei ciclisti che ancora traspariva dai suoi racconti e con l’emozione ancora tangibile che scaturiva dalle sue parole. Queste le cime che il mio bravo genitore snocciolava a memoria:Il Polenta,Pieve di Rivoschio,il Ciola,il Tiffi,il Perticara,il Putignano,il passo delle Siepi,il Garolo. Lo so,ne manca una ed è quella che anche Lui metteva in fondo: Il MITICO BARBOTTO, col suo ultimo tratto al 18% di pendenza,dove alcuni ciclisti venivano su mestamente a piedi sopraffatti da quel muro che per alcuni di loro era invalicabile in sella ad una bici. Un bel giorno dell’anno scorso chiamo mio padre e gli dico:”Correrò la Nove Colli a piedi ”.Pronta la risposta:”Guagliò,tu sì pazz !!!” Si,forse un pò lo sono... Dopo la delusione della Cento chilometri di Seregno,primo obiettivo stagionale,non era facile rimettere insieme i cocci di un sogno andato in frantumi,resettare la mente e ripartire per questa avventura. Io l’ho fatto e sono orgoglioso di me stesso. La delusione post gara lombarda era tanta ma la voglia di guardare avanti e di costruire un’impresa sulle ceneri della sconfitta prese il sopravvento e così con sudore,allenamenti e abnegazione ho costruito,nel tempo,quella che è stata una gara che ho riassunto in un ossimoro: DI DEVASTANTE E ALLUCINANTE BELLEZZA. Si proprio così,una competizione dura,durissima che mette alla prova il fisico e la mente,dove muori e rinasci tante volte,dove cadi e ti rialzi,dove il sole insegue la luna,dove il giorno fa lo stesso gioco con la notte,dove un attimo prima tutto è bianco e dopo può essere tutto nero,dove farsi prendere da pensieri negativi che poi ti stritolano,amplificati dalla stanchezza può essere letale,dove nel tagliare il traguardo sai di scrivere il tuo nome nella storia dell’ultramaratona e sei al settimo cielo. Il tutto però dentro uno scenario di assoluta bellezza fatto di vallate dove regna un silenzio che allieta i sensi,di colori che durante il giorno infondono serenità e che durante la notte provocano brividi,di odori che soddisfano l’olfatto e di sapori che sollazzano il palato. Di questo bel film noi atleti,con i nostri accompagnatori siamo gli attori principali, i volontari e le società sportive,che con la loro opera ci aiutano lungo il percorso non lesinando mai parole d’incoraggiamento,fungono da aiuto registi e con quella grande persona di Mario Castagnoli che è il regista di tutto,il burattinaio,quello che regge i fili e muove tutto,:”GRAZIE MARIO NON MOLLARE”. Regalaci anche l’anno prossimo questa perla,lo so che è difficile e le spese sono tante ma vedrai che con l’aiuto di tutti riuscirai,riusciremo se vuoi, ancora nell’impresa. La Nove Colli running con i suoi 202,4km ed i 3220 m di dislivello positivo,insieme alla Spartathlon 246km e alla Badwater ultramarathon (attraversamento della Valle della morte negli Stati Uniti) di 217km e 3962m di dislivello positivo è una delle tre corse in linea più dure al mondo e sarebbe un peccato mortale perderla. Come si prepara un avvenimento così? Una domanda da un milione di euro. Ognuno di noi ha il suo modo di farlo e non è detto che sia migliore di quello di un altro. Per quello che mi riguarda tranne un giorno settimanale che ho sempre di riposo non ho saltato un allenamento da novembre dell’anno scorso. Ci sono stati momenti belli e momenti brutti,uno in particolare (bruttissimo) ad aprile condizionerà in positivo però la prestazione. Io sono uno che cura molto i particolari quindi ho scaricato gli scritti di altri amici che avevano già calcato le stesse strade,ho visto filmati (anche quelli relativi alla corsa di bici),ho sentito un pò di pareri in giro e sono giunto alla conclusione che per portare alla fine bene questa gara avevo bisogno di una macchina d’appoggio con una persona che capisse le dinamiche della corsa,senza essere invadente,insomma un martire che si dedicasse alla causa. Una settimana prima della partenza per Cesenatico mi chiama Andrea,amico di tante corse, domandandomi:”Hai qualcuno che ti segue lungo il percorso? Ti offendi se ti chiedo di farlo io in macchina? Insieme a quella di Marco per Seregno, mai richiesta è stata più ben accetta. Ci vediamo qualche giorno prima della partenza per programmare il tutto,a casa sua sembriamo due generali che stanno preparando lo sbarco per la conquista di quel lembo di terra tra Romagna e Marche: Cartine stampate,ingrandimenti dell’altimetria,strade da percorrere,indumenti per i cambi,le bibite,l’acqua,il frigorifero,le modalità d’intervento,i ristori,le parole da dire e non dire in caso di difficoltà (abolizione della parola ritiro). Una cosa importantissima è la decisione del cambio d’alimentazione durante la gara rispetto alla Spartathlon,decidiamo di mangiare fin da subito cibi solidi e di portare con me sempre una bottiglietta d’acqua. Rispetto alla corsa ellenica un cambiamento radicale, lì la nutrizione fu tutta a base di gel e liquidi e la bottiglia d’acqua la presi dopo ottanta chilometri.Due ore di riunione a casa di Andrea.Tutto programmato nei minimi dettagli,non potevamo sbagliare e così è stato. Come dico sempre,solo una rottura fisica ed il relativo stop del medico ci poteva fermare,fortunatamente ciò non è avvenuto anche se avevo un leggero timore perché avevo sofferto per un infortunio al bicipite ed al tricipite femorale destro fino a qualche ora prima dello start. Tutto pronto quindi,non ci resta che partire carichi di belle speranze alla volta di Cesenatico dove all’hotel Anthos ci aspettano altri atleti e Mario,l’organizzatore, che poi consegnerà i pettorali. Il pomeriggio trascorre tranquillo,l’atmosfera è di quelle giuste,si ride e si scherza cercando di non pensare all’imminente gara .Faccio la conoscenza di altri pazzi ma più pazzi di me che pure sono uno da legare,quindi provate solo ad immaginare l’ambientino,noto con piacere che ci sono tante persone che son venute dall’estero segno questo dell’importanza e dell’ottimo livello raggiunto dalla manifestazione,tanti italiani,molti dei quali già compagni di tante battaglie sulle strade di tutt’Europa. In tarda serata il meritato riposo e poi un attimo dopo, come se qualcuno si fosse divertito a spostare in avanti manualmente le lancette dell’orologio volendo godere delle nostre sofferenze, è già l’alba con quell’odore del mare che a me uomo del sud da una carica inesauribile ed una calma inenarrabile. Nel frattempo arriva l’altro generale,Andrea, che sarà con noi e ci seguirà per tutta la campagna della Nove Colli,si mettono a posto le ultimissime cose e si parte alla volta del centro di Cesenatico,verso il porto canale che ospita un presepe di barche d’epoca che è veramente una visione magnifica e molto particolare. La banchina pullula di persone,di atleti,di giornalisti e di fotografi. Il sole è già bello alto ed il caldo già fa presagire a un pomeriggio torrido. Verso le undici inizia il discorso di Castagnoli a tutti noi. Ci ragguaglia su alcune cose che potrebbero accadere,ci mette al corrente della pericolosità in alcuni tratti di strada vista la concomitanza della corsa di bici del giorno dopo ed infine ci da anche dei buoni consigli per superare dei momenti di crisi. In alcuni tratti della parlata,Mario,s’emoziona e a dir a verità per induzione trasmette anche a noi questa sensazione,questo brivido freddo e glaciale. Sa che potrebbe essere l’ultima edizione di questa magnifica kermesse e come un papà che vede il figlio allontanarsi per sempre cerca in tutti i modi di tenerlo a se aggrappandosi alle sue vesti che inesorabilmente si sfilacciano ma fino a quando non ci sarà lo strappo lui non mollerà e noi non molleremo. FORZA MARIO. Verso le undici e quaranta siamo tutti fuori,ci sono le foto di gruppo da fare,l’appello e poi la benedizione del parroco. Troviamo un bagno per bagnarci il cappellino in modo che la nostra testa rimanga sempre fresca,facciamo quattro chiacchiere con i fratelli Aiudi che hanno la loro mission nel portare al traguardo la loro amica Paola,ridiamo e scherziamo come mio solito. In cuor mio anche io ho un compito d’assolvere ed è quello di portare al traguardo un amico,un amico che non c’è più fisicamente ma che è vivo nei ricordi di tutti noi,quel Paolo Zucca che al traguardo della sua prima maratona,nella sua città Milano,ha deciso di andarsene. “Paolo hai portato a compimento la tua prima maratona e con me porterai alla fine anche la tua prima ultra,te lo prometto”,questo mi dicevo e mi ripromettevo negli ultimi due mesi, quando mi allenavo stoicamente ed avevo la sensazione che fossimo in due. Eccovi spiegato il motivo per il quale ho parlato e parlerò sempre al plurale e mai in prima persona. 10,9,8,7,6,5,4,3,2,1...è mezzogiorno. VIAAAAAAAA,si parte. I primi ventuno chilometri sono ad andatura controllata,forse il tratto più brutto. Siamo tutti in gruppo perché da regolamento bisogna arrivare a Settecrociari tutt’insieme e poi alle 14 parte la gara in solitaria. Questo pezzo di strada fa in modo che ci si diverta,ci si riscaldi o surriscaldi vista la temperatura non proprio fresca. Il buon umore non manca,giunti in località Borella qualcuno esclama :”Ecco,potava mai mancare Santo ? (Grande persona dei Runners Bergamo)”. Nel gruppo la parte dell’istrione la fa quel Luca Zava anche lui finisher di questa e di altre manifestazione analoghe. Con la sua verve,il suo modo di fare tiene alto il morale. Corre in costume il grande Luca e sarà un validissimo aiuto per tutti noi lungo l’intero arco dei 202,4km. Insieme ai suoi amici,in macchina seguono la corsa,li vedi sbucare all’improvviso,sempre il sorriso stampato sulle loro facce,sempre una parola d’incoraggiamento per tutti,quando vedevamo la Zava’s car o i Luca’s friends era per noi un momento felice perché sapevamo che potevamo contare su di loro,anche solo per un attimo anche solo per un sorriso o magari anche per una birra. C’è anche Ivan Cudin in gruppo con noi,non può scappare l’ingegnere friulano,almeno fino alle 14. Parliamo un pò e sentiamo che può fare una gran gara. Molte fontanine lungo il percorso aiutano a rifocillarci,i ristori buoni,pieni di frutta e bevande, sono ben accetti da tutti noi. L’unica nota stonata è un pò di traffico e qualche incrocio pericoloso ma sarà niente se poi lo inseriamo nel paesaggio dentro il quale andremo a correre. Una goccia di petrolio in un mare azzurrissimo ed incontaminato pieno di pesci multicolori,insomma sarebbe meglio se non si fosse,però va bene lo stesso. Verso le 13.50 arriviamo al primo ristoro grande,da dove poi ognuno alle 14 partirà per la sua avventura. Chiediamo ad Andrea il primo cambio di calzini ed un pò d’integratori,detto fatto,con una rapidità degna di superflash m’appare il grande Enrico Vedilei con quello che avevo chiesto. Mangiamo un pò di pasta con grana e questa volta si parte sul serio. Si attacca subito il primo colle,è tutto ok e come da copione siamo molto lenti,quasi camminiamo. Siamo molto tranquilli perché basiamo la nostra forza su due cose: Questa corsa l’hanno già fatta altri e possiamo farla anche noi e poi che il tempo non si ferma e la domenica pomeriggio arriverà portandoci in dono il momento in cui attraverseremo il traguardo.Il caldo è ormai opprimente e la presenza di Andrea è già molto importante. Verso 15 scolliniamo dal Polenta intorno alla trentesima posizione. Dopo un pò raggiungiamo Stefano ed Antonio,si proprio Antonio Mammoli,colui che insieme a pochi altri ha scritto la storia della Nove Colli partecipando a tutte l’edizioni talvolta vedendolo anche vincitore. Antonio,persona di cuore e di una bontà fuori dal comune,sta accompagnando il suo amico al traguardo,entrambi sono seguiti da una macchina d’appoggio e da Alessandro Papi,anche lui un grandissimo delle lunghissime distanze. Come due poli che s’attraggono ci uniamo e decidiamo di fare un pò di strada insieme,sarà così per una quarantina di chilometri. Quando ormai sono le cinque del pomeriggio,inizia la salita del secondo colle e siamo giunti al quarantasettesimo chilometro e mezzo. Il nostro incedere è prudente,ci fermiamo alle fontanine disseminate lungo il tragitto abbeverandoci di quel liquido trasparente e meraviglioso che è l’acqua. Purtroppo Stefano inizia ad avere i primi crampi,soffre il toscano ma stringe i denti,decidiamo di farlo stare un pò da solo in modo che la nostra presenza non lo opprima,lo facciamo andare avanti,si riprende. Talvolta compare Alessandro col quale si scambiano quattro chiacchiere sul Brasile ed intanto il tempo ed i chilometri trascorrono. Il mio amico Andrea col suo lavoro di supporto man mano che passano le ore diventa sempre più importante,ci fa da ristoro volante,prende le telefonate degli amici che vogliono sapere,ci indica il percorso che da li a poco andremo ad intraprendere,alla fine sarà FONDAMENTALE per la riuscita della gara. L’orologio ormai ci dice che sono quasi le 18,la vetta del secondo colle s’avvicina,è tutto ok ed il sole ormai in fase calante ci regala delle ombre,dei colori e dei giochi di luce degni dei migliori quadri. Stiamo per superare il cancello di Pieve di Rivoschio,lo faremo poi in 6h 34’. .Attacchiamo il terzo colle,il Ciola. Lungo il percorso si vedono ogni tanto con il loro camper Andrea e Monica,due grandissimi amici prima e fantastici atleti. C’incoraggiano,si fermano offrendoci delle fragole e ci prendono pure in giro. Tutto bello,forse anche troppo. Dopo una settantina di chilometri sul Ciola,stiamo ancora bene,l’aria incomincia ad essere più fresca. Vedo però che rispetto ad Antonio e Stefano,noi perdiamo in salita per le mie leve corte così dopo un pò ci separiamo,ma ciò non significherà perdersi,anzi,resteremo sempre in contatto grazie ai nostri amici che ci seguono. Siamo giunti al settantasettesimo chilometro la discesa del terzo colle è finita la temperatura è scesa intorno ai 18 gradi. Non abbiamo freddo però cambiamo maglietta mettendone una fosforescente,ci armiamo di fasce catarifrangenti,di luce e prendiamo il telefono. Ci chiamano gli amici cari,ci aiutano a far trascorrere i chilometri. Saranno loro la nostra stella cometa lungo la notte,il nostro faro sul molo che non ci farà infrangere sugli scogli nella navigazione notturna dentro una tempesta di sensazioni,in un turbinio di emozioni. La notte ha ormai vestito di blu le vallate,del giorno,ormai,ci restano solo le eco di un caldo asfissiante. Con tutta calma iniziamo la salita del quarto colle,il Barbotto,col suo ultimo tratto al 18% di pendenza. Mi viene in mente una battuta che mio padre faceva sempre: “ Il Barbotto? Si al Barbotto faccio la barba e vado via...” Ore 22.10,sorridenti,sereni e tranquilli,anticipati da suoni di campanacci,applausi e grandi incitamenti arriviamo in cima intorno alla ventiseiesima posizione. Ci presentiamo a quello che è un fantastico ristoro,dove c’è di tutto e dove veramente puoi fermarti per rifocillarti e fare il pieno di energie. Sono li proprio tutti gli amici: Monica,Ilaria,Andrea,Enrico e tantissimi altri,l’allegria regna sovrana,sembra una festa di paese ma,in questo punto del percorso per noi gioioso perché ancora freschi e pieni di vita, ci saranno tanti atleti che scriveranno la parola fine alla loro competizione,vuoi perché già deciso in precedenza e vuoi perché sopraffatti dalla fatica e dalla stanchezza. Noi ci permettiamo il lusso di farci dei massaggi con gli addetti che ci dicono che abbiamo le gambe senza indurimenti e belle sciolte. Mangiamo un piatto di pasta e poi ci rimettiamo in marcia non prima però d’aver indossato una maglietta a maniche lunghe. La notte è ancora lunga e tantissime sorprese avrà ancora in serbo per noi. Iniziamo la discesa,l’aria sempre più frizzante porta con se i sapori dell’oscurità,le tenebre ci avvolgono in un abbraccio,ci stritolano fino a farci mancare il respiro. Viviamo nell’irrealtà,in un mondo non mondo,in un’altra dimensione,sembriamo tante entità vaganti che cercano un qualcosa,un qualcuno che le aiuti a passare dall’altra parte,dalla notte al giorno,dall’incubo al sogno. Siamo delle anime che cercano il proprio Caronte che, con la sua barca,nel nostro immaginario,ci aiuterà ad oltrepassare il fiume Acheronte. A dir la verità noi il nostro Caronte ce l’abbiamo ed è Andrea che così come noi sta trascorrendo la notte senza dormire,anzi fa ancora di più perché anticipandoci sul percorso ci mette in guardia dalle sue insidie. PREZIOSISSIMO. Quando ormai il sabato sta per morire arriviamo a Ponte Uso,centouno chilometri corsi e siamo intorno alla ventiquattresima posizione. Attacchiamo il quinto colle,anche lui non male con un tratto di pendenza al 16%. Ora sentiamo la stanchezza dovuta alla mancanza di riposo nei giorni precedenti. Con il giorno nuovo sorto ormai da un’ora e mezza che ci accompagnerà a Cesenatico fino al traguardo,ne siamo sicuri, anche il monte Tiffi è conquistato, più della metà dei colli è stata “asfaltata”. La temperatura è intorno ai dodici gradi,iniziamo ad avere i brividi,abbiamo freddo e strani pensieri potrebbero far capolino ma siamo duri,non ci facciamo intimorire,chiamiamo a noi il fido Andrea e ci facciamo dare un pile smanicato,i guanti,uno scalda collo ed il cappello... Altro che mese di maggio sembra d’essere alla maratona del Brembo che avevo corso a gennaio. Di ciò ce ne freghiamo,quest’abbigliamento ci servirà per andare avanti,lo indossiamo incuranti di tutto e di tutti,d’altronde l’avevamo previsto e va bene così. A questo punto della corsa però c’è una delle ascese più lunghe,sesto colle,il Perticara. Con i suoi nove chilometri di salita è un mostro,so che impiegheremo un paio d’ore per scalarlo ed è qui che la stanchezza diventerà prima sofferenza e poi atrocità. Momenti difficilissimi accompagneranno la nostra salita,i passi sono cortissimi,spostiamo il baricentro molto avanti quasi a toccare l’asfalto col viso cercando di andare avanti aiutandoci col peso del corpo, i riflessi sono molto annebbiati ormai solo un barlume di lucidità ci resta ma è quello che ci farà arrivare su. Lungo la strada vediamo Andrea da lontano,è fermo sul ciglio della strada, ci sembra di avere le allucinazioni perché scorgiamo una persona in macchina.”Ma non era da solo Andrea ? Cavolo se vediamo un’altra testa allora non siamo tanto lucidi come crediamo”. Lo raggiungiamo e con piacere vediamo che non siamo del tutto cotti,c’è realmente un altro atleta col nostro amico. Un ragazzo ormai spossato dalla stanchezza che si era messo al caldo perché vinto dalla corsa e chiedeva di essere portato su al ristoro per ritirarsi. Andrea ci chiede se può lasciarci da soli per una ventina di minuti in modo da soccorrere il nostro sventurato compagno di gara. Noi feriti ma non morti,dispersi nell’oceano in tempesta aggrappati ad un pezzo di legno, consapevoli che ci fosse una persona che aveva più bisogno di noi, gli diciamo di andare tranquillo. Il nostro grande amico parte,lo vediamo andar via,si allontana sempre di più e lo perdiamo inghiottito dalla notte. Ora siamo soli,senza assistenza,ci chiediamo se abbiamo fatto bene a privarci della sua presenza,la risposta un attimo dopo è stata :”SI”. C’era una persona d’aiutare ,aveva bisogno ed era stato giusto così,d’altronde noi eravamo comunque in due. Continuiamo la nostra ascesa,la nostra lenta ascesa pensiamo alle tante cose accadute durante gli allenamenti,tanti particolari vengono a galla nel mare della nostra mente come i resti di un’imbarcazione naufragata portati a riva dalla risacca,tanti frammenti di ricordi,schegge di vetri in frantumi invadono la nostra testa,tante cose fantastiche che si trasformano in terrificanti. Tutto ciò è come una cascata di acqua fredda che ci bagna e ci rigenera,abbiamo bisogno di cibarci di questo per andare avanti e per non mollare. Questa è la vita e lo sport non è altro che la sua trasposizione,può piacere oppure no. Alle 03.37 arriviamo in cima,abbiamo perso tantissime posizioni,siamo quarantaseiesimi. Decidiamo di fare una sosta un pò più lunga dato che c’è un altro grande ristoro. Ci facciamo fare dei massaggi,adesso i muscoli sono un pò più duri ma niente di cui preoccuparsi,fisicamente siamo preparati non temiamo niente e nessuno. Mentre siamo sul lettino che ci facciamo manipolare entra la Valentina,la compagna di un nostro amico col quale dividemmo una lunghissima notte avvolti da una tempesta d’acqua alla Spartathlon l’anno scorso. Le chiediamo di Paolo,della sua gara e delle sue condizioni,mentre sta per rispondere arriva lui,stò toscanaccio che non s’allena quasi mai per i suoi impegni di lavoro ma che ha un cuore enorme e finisce sempre le gare. Scambiamo qualche battuta ironica e poi gli lasciamo il lettino per i suoi muscoli. Andiamo fuori,chiediamo cortesemente un piatto di pasta ed intanto mangiamo un panino bevendo anche della coca cola. Arriva anche la simpaticissima Ilaria che segue in macchina alcuni amici ed anche con lei si chiacchiera un pò. Vediamo a questo punto una bella panchina che sembra chiamarci,come una bella donna ci ammalia e noi cediamo. Abbiamo ancora un pò di tempo e così diciamo ad Andrea che ci addormentiamo un quarto d’ora. Passato questo brevissimo lasso di tempo urliamo ai giudici che ripartiamo. Abbiamo freddo perché non ci siamo coperti quando dormivamo,ci facciamo dare il k-way in modo da non disperdere
il preziosissimo calore corporeo. Sembra che la lunga sosta ci abbia giovato. Siamo più freschi,la corsa è più sciolta e sembriamo rigodere del nostro cammino. Una scia di lucciole ci tiene compagnia facendo da contraltare alle stelle che brillano nel cielo, è tutto un’accendersi e spegnersi,è meraviglioso. Lungo la notte tanti atleti ci hanno passato ma noi abbiamo sempre guardato avanti senza mai avvilirci anzi abbiamo avuto la forza anche di incoraggiare chi fosse più in difficoltà di noi,come quando abbiamo incontrato Marco,che ci ripeteva:”Mi ritiro,adesso mi ritiro”,son bastate alcune parole,qualche urlo affinchè l’amico veneto si riprendesse alla grande per poi ripassarci più avanti ed essere ripreso a qualche chilometro dall’arrivo. Intanto ore e chilometri si susseguono come i passi di un battaglione che marcia,inesorabili, anche il buio sta per lasciare il passo alle prime luci dell’alba e nell’aria si sente solo il rumore dei nostri passi e l’ansimare dei nostri respiri. Chiamiamo la nostra solerte ammiraglia per rifocillarci un tantino ed iniziamo a svestirci un pò degli indumenti pesanti che indossiamo. Ancora un poco su e giù per i colli e s’avvicina Andrea che ci dice che Ivan ha vinto la gara in 18h e mezza circa,una sola parola ci rimbalza nella testa.” MOSTRUOSO”. Ormai è l’alba siamo al km 137,ci ricambiamo gli “abiti” da corsa per essere pronti al caldo della giornata. Lungo il tragitto tante cose rapiscono la nostra attenzione: Casolari,piante,animali ma, la vista della Rocca di San Leo è uno spettacolo da togliere il fiato per la posizione,per la bellezza e perché sappiamo che è intrisa di storia. Si narra che il mago Cagliostro, riuscito ad evadere da tutte le prigioni che l’avevano visto detenuto in precedenza, fosse morto lì non riuscendo nell’impresa di fuggire anche da queste mura. Verso le otto siamo in pieno recupero ed intorno al km148 transitiamo in ventisettesima posizione,adesso è l’ora d’attaccare l’ottavo e penultimo colle. La luce ormai ha sopraffatto il buio,anche la temperatura pian piano inizia ad alzarsi. Verso le 09.25 abbiamo superato il passo delle Siepi e siamo al km 158,un pò stanchi procediamo,sempre,però, molto fiduciosi perché ormai abbiamo da correre circa una maratona e c’è tantissimo margine ancora, nello stesso tempo sempre consapevoli del fatto che in gare del genere l’imprevisto lo puoi trovare un attimo dopo. Gestiamo l’energie in vista dell’ultimo colle,così anche in discesa cerchiamo d’essere più controllati nel nostro incedere. Già da qualche ora s’incontrano dei ciclisti per strada,ci facciamo coraggio gli uni con gli altri,è molto bello questo modo d’incitarsi,questo scambio d’emozioni,roba d’altri tempi,un sapore di eroico. Manca un’ora a mezzogiorno ed iniziamo l’ascesa al Garolo,nono ed ultimo colle che per regalo ci dona una salita di cinque chilometri con un ultimo strappo al 17% di pendenza la quale, dopo circa164 km nelle gambe e 23 ore di corsa, non può propriamente dirsi una passeggiata. Molti spettatori sono seduti all’ombra ai bordi della strada, aspettano i ciclisti,un pò d’invidia c’assale ma, alla nostra vista si congratulano,c’incitano e ci chiedono come facciamo a correre da così tanto tempo. Nascono dei simpatici siparietti che ci permettono d’alleviare le nostre fatiche. Ormai delle campane si odono i rintocchi,è mezzogiorno e siamo in cima all’ultima asperità. Con tranquillità assoluta ci sediamo,mangiamo e riposiamo un attimo. Accanto a noi sdraiato su una sedia c’è un altro atleta che posa le sue membra su una sedia,i volontari ci dicono che è lì da un pò di tempo e dorme alla grande. Andrea è lì con noi e non ci fa mancare mai il suo incoraggiamento,continua col suo incessante lavoro a fare in modo che la nostra corsa abbia un esito positivo,i sincronismi tra di noi sono perfetti,basta un cenno da lontano e lui capisce che abbiamo bisogno d’acqua,un’occhiata in un certo modo ed è coca cola,un’andatura particolare ed è a correre con noi per diverse centinaia di metri con lo spruzzino in mano a bagnarci testa e corpo              ( simpatica questa trovata,l’abbiamo mutuata da un filmato sulla Badwater Ultramarathon,quando si dice la cura dei particolari...). Durante la notte parcheggiava la macchina e faceva un pò di strada con noi,c’indicava le caratteristiche del percorso con le sue discese non discese,infatti come m’aveva detto Marco,a guardare l’altimetria sembrava quella bella maratona che da Barchi si porta fino a Fano,dove ci sono discese sulla carta che poi nella realtà vai a vedere sono una serie continua di saliscendi che ti distruggono. Nel venir giù dal Garolo è ormai anche gara per i ciclisti,la pericolosità aumenta in maniera esponenziale per noi,per loro e per Andrea in macchina. Attimi di vero panico si verificano lunghe le stradine piene di curve,brividi lungo la schiena di tutti in alcuni tratti di discesa ed è così che arriviamo al km 186 e l’orologio ci avverte che sono le ore 14. Siamo circa verso Savignano e come novelli Cesare attraversiamo il Rubicone,la sola differenza e che noi muoveremo in direzione riviera romagnola e lui in direzione Roma. Da lontano,prende forma LUI,il grattacielo di Cesenatico. La stanchezza fisica ormai è solo un vago ricordo,le sofferenze patite durante la notte sono svanite velocemente come i fulmini prima dei roboanti tuoni durante quei bei temporali di primavera che rinfrescano l’aria.Con tenacia e forza di volontà ferrea andiamo avanti. All’orizzonte quel mostro di cemento sembra aspettare gli atleti con le fauci aperte,non è così per noi. Vediamo in lui una tenero papà che non vede l’ora d’accogliere il proprio figlio a braccia aperte,di accarezzarlo e di coccolarlo una volta che è tornato a casa con la canottiera ancora sudata dopo averlo visto orgoglioso correre per la prima volta sulla pista del piccolo paese. Un cartello stradale indica Gatteo mare, nella nostra mente pensiamo:”E’ fatta “ Le strade sono deserte non ci sono persone,solo noi,i ciclisti ed i volontari,ormai ci siamo, lo sentiamo. Un cenno ad Andrea,tiriamo fuori la bandiera dell’Inter e la canottiera della società per l’arrivo e la mettiamo da parte,beviamo uno degli ultimi sorsi d’acqua e mentre facciamo tutto ciò ci mette a conoscenza delle telefonate che arrivano da parte dei familiari,dell’allenatore e degli amici. Lui sta rassicurando tutti,ora anche a casa sono abbastanza tranquilli. I chilometri al termine sono ormai dodici,raggiungiamo Luciano,cammina,lo sproniamo un pò. Non abbiamo voglia di camminare ma solo di correre,di sprigionare allegria e felicità anche se galleggiamo sulle vesciche dovute ad un cattivo appoggio del piede figlio di un infortunio assorbitosi poche ore prima della partenza ma che inconsciamente ci faceva correre in una posizione non corretta. Ci ricordiamo,nonostante ciò, che gli ultimi chilometri potrebbero essere chiusi alle macchine allora ci riavviciniamo alla nostra vettura,prendiamo la bandiera,svestiamo la maglia mettendo la canotta societaria ed iniziamo a volare. Qui Andrea ci racconta un aneddoto,mio fratello lo ha chiamato per chiedergli come stava andando la corsa,alla sua risposta che conteneva tra l’altro la storia che avevo già sistemato la bandiera dell’Inter,lui ha esclamato :”A questo punto mio fratello è ok,se è così, non ci sono dubbi,arriva sicuramente! “ Ripartiamo,la nostra auto ci precede e ci indica la strada anche perché nonostante sia magnificamente tracciata e segnalata ci sono tante rotonde che potrebbero indurre all’errore dopo tanti chilometri e tante ore di gara. Tutti gli atleti che incontriamo e superiamo camminano forse per stanchezza,forse comunque perché convinti d’aver portato a compimento un’impresa. Ripassiamo il grande Marco che voleva ritirarsi durante la notte,grande forza la sua; ritroviamo Stefano con ancora i suoi crampi che gli fanno compagnia,grande caparbietà... A questo punto però la domanda sorge spontanea:” Ma Mammoli dov’è ?” Il buon Antonio era qualche chilometro più avanti,credo che lo possa scrivere non me ne vorrà male,aveva lasciato un pò Stefano da solo per non opprimerlo con la sua presenza come avevamo fatto il giorno prima quando eravamo tutti insieme e adesso era lì all’ombra insieme ad Alessandro che lo aspettavano, che cuore questi due campioni. Noi passiamo di corsa,gli urliamo qualcosa,lui con un sorriso enorme ci saluta ed in quell’istante è come se sentissimo il suo abbraccio poderoso,la sua stretta forte. :”Porca miseria Antonio,così ci fai piangere”,iniziamo ad emozionarci e a correre sempre più velocemente. Sono le 15.00,mancano soli sette chilometri all’agognato traguardo. Sulla nostra strada c’è Giancarla,corre ancora anche lei la piemontese,sarà poi la seconda donna al traguardo,le grido che è finita e la passo in scioltezza. Stenta a credere ai suoi occhi,non riesce a capacitarsi della nostra esuberanza,”Ma come fai,ma come fai “,mi urla non sapendo che siamo in due,non lo può sapere che anche Paolo è con me. Ormai siamo in estasi,ci portiamo le mani alla testa,singhiozziamo,credo che anche Andrea in questo momento in macchina stia vivendo lo stesso stato d’animo. Ultimo cavalcavia,curva a sinistra,si scende,un volontario comunica il numero al traguardo. Gli addetti al traffico ci battono il cinque,duecento metri e poi ultima curva a sinistra,ci prepariamo prendiamo il bandierone. La scritta arrivo. Ormai è solo gioia,felicità e allegria. La strada fatta non la ricordiamo più,solo quattrocento metri del lungomare Carducci ci dividono dalla gloria. La gente applaude,due ali di folla impazzite accompagnano il nostro incedere,il bandierone dell’Inter sventola alto sulle nostre teste,salutiamo tutti,piangiamo di commozione,abbracciamo idealmente il mondo intero,vorremmo che in questo momento,come per incanto,si fermasse il tempo,ci piacerebbe scolpire nella roccia,se si potesse,questa nostra felicità e lasciarla ad imperitura memoria. Questa è felicità allo stato puro. I metri passano anche abbastanza velocemente,vogliamo godere di questi attimi come un assetato quando trova una fontanina lungo il suo percorso e sa che non ce ne saranno più. Vediamo Ivan,Monica,Andrea,credo Enrico che sono felici come noi. Il traguardo,Mario che ci viene incontro,ci siamo,pochi metri e poi l’urlo liberatorio:”Paolo ce l’abbiamo fatta”! Abbraccio lo speaker e poi Mario,ci indicano dove andare a ritirare il diploma e dove ristorarci. Consegnano la medaglia a me,ma io non ho corso da solo,Paolo è stato con me,merita anche lui il riconoscimento. Vado da Castagnoli gli parlo della mia corsa,della nostra corsa e lui da quel gran signore che è me ne da subito un’altra emozionandosi anche. Adesso io quella medaglia la porterò ai familiari del nostro amico Paolo Zucca,voglio fargli capire che il loro caro resterà sempre vivo nelle nostre menti,ed io ogni qual volta correrò qualche gara particolare lo farò sempre portandolo con me perché una persona muore veramente quando non c’è neanche più il ricordo. Dopo il ristoro e qualche foto arrivano anche i due amici toscani che s’abbracciano,sono felicissimo del loro arrivo,gli vado incontro e mi complimento con loro. Intanto Andrea,parcheggiata la macchina e scavalcato qualche transenna arriva come una saetta in zona arrivo,mangia meritatamente e giustamente poi dopo qualche magia con la macchina ritorniamo in albergo. Doccia un leggero e breve riposo,poi la cena con premiazione finale. Niente a che vedere con i fasti della Spartathlon ma comunque bella e godibilissima perché fatta da gente semplice e spontanea che ci ha accolto a braccia aperte e ci ha regalato dei giorni che come ho detto all’inizio sono stati di DEVASTANTE E ALLUCINANTE BELLEZZA. Adesso sono giunto proprio alla fine e come ogni buon finale che si rispetti ci sono le dediche ed i ringraziamenti,sperando di non dimenticare nessuno pena ricorrerla l’anno prossimo. Questo mio viaggio lo dedico all’amico Paolo Zucca che ha corso con me anche la sua prima ultra maratona. Voglio ringraziare Andrea,come non potrei ? Senza di lui ci sarebbero state molte più difficoltà, non oso immaginare come poteva essere la gara senza la sua presenza. Un grazie va anche al mio allenatore Vincenzino Esposito che mi ha preparato in modo perfetto e senza sbavature. Alla mia società Reggio Event’s che,anche non essendo io un top runner,mi mette a disposizione tutto ciò che serve.Grazie a chi, durante il giorno si è informato delle nostre condizioni telefonando ad Andrea e a chi ha continuato a farlo anche durante la notte tenendoci compagnia, parlando direttamente con noi. Un grazie alla mia famiglia che fa degli enormi sacrifici a starmi dietro con gli orari per allenamenti, per i pranzi e per le cene. Grazie anche al sito di Marathon truppen che ha seguito ora dopo ora la corsa nostra e quella degli amici Aiudi. Un grazie va anche alla Turin Marathon con la quale ho una partnership. Grazie al sito che in questo momento mi fa il piacere di pubblicare questo mio articolo. Grazie a tutti i miei amici di facebook che mi seguono con simpatia ed affetto non facendomi mai mancare il loro incitamento. Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere questo articolo e chiedo scusa se vi ho annoiato. Ho dimenticato qualcuno ? Mannaggia mi toccherà ricorrerla l’anno prossimo...